In genere non sono mai stato molto favorevole al collettivo di autori che si celano sotto l’etichetta dei Wu Ming, forse mi devo riconoscere anche colpevole di non aver fatto alcun tentativo di individuarli, pur vivendo nel loro stesso territorio bolognese. D’altra parte, visto che essi stessi si rifiutano di presentarsi a titolo individuale, perché forzare questa loro volontà? C’è stata però qualche valida eccezione, come nel caso del romanzo “Timira”, firmato da un solitario Wu Ming 2, e con un collaboratore apertamente dichiarato. Inoltre mi è pure capitato di dire bene di una loro serie di racconti, “Anatra all’arancia meccanica”, scritta con toni leggeri e ironici. Mentre l’atto d’accusa che formulo contro di loro, e anche in genere contro la cosiddetta New Italian Epic, è di essere troppo seriosi, e di aggredire i fatti storici del passato sgretolandoli, andando a pescare, nel vasto fiume della storia, quisquilie marginali, il che magari corrisponde all’attuale culto che ci sentiamo di rendere alla cultura materiale e ai suoi diritti, ma a scapito di una conduzione narrativa ampia e trascinante.
Questa volta la forchetta della distanza storica è stata abbreviata dai Wu Ming, in quanto hanno puntato sulla Grande Guerra, quasi nell’intento di partecipare anche loro al centenario celebrativo. Ma intanto il depistaggio comincia subito, con un titolo, “L’invisibile ovunque”, che tutt’al più può riguardare il quarto e ultimo episodio. Sarebbe invece lodevole l’intento dichiarato di presentarsi ciascuno con un volto proprio, stendendo cioè in un modo personalizzato ciascuno di questi capitoli, e ritrovando quindi lo stesso criterio già seguito nel caso dei racconti sopra menzionati. Ma, come si addice nei confronti del mastodontico e tragico evento storico, il tono seguito in genere è cupo, né lascia intravedere consistenti varianti stilistiche. E soprattutto, si ripresenta il solito rischio di inconsistenza o marginalità. Non si capisce per esempio con quale spirito sia stato concepito l’episodio numero uno, dove protagonista è un essere passivo, tale Adelmo Cantelli, rozzo montanaro oppresso dalla famiglia che lo tratta quasi da minorato psichico, impedendogli di andare a caccia, che sarebbe la sua unica aspirazione, Da qui il rifiuto di un destino così soffocante, la decisione di arruolarsi volontario, e di andare a finire perfino tra gli arditi, sopportando con stoica rassegnazione, e perfino con brillante accettazione, quanto comporta una scelta del genere, che non pare sia stata molto frequente, tra i nostri poveri fanti. Naturalmente, come sempre, la premiata ditta Wu Ming saccheggia reperti già acquisiti agli atti, qui viene trasportato di pari peso lo stereotipo del soldato, ben diverso dal nostro volontario, e del tutto conforme alla media dei poveri richiamati, che si rifiuta di andare a morte sicura uscendo dalla trincea e avanzando contro le truppe nemiche. Alla minaccia dell’ufficiale di passarlo per le armi, il misero commilitone preferisce darsi la morte da se stesso sparandosi un colpo secco. Episodio, questo, già sfruttato dal campione del migliore verismo nostrano, De Roberto, nei suoi racconti di guerra recuperati di recente, e qui commentati, dalla solerzia filologica di Gabriele Pedullà. Il primo episodio insomma ci presenta un brano di vita inerte e opaca che pesa come un cibo di difficile digestione.
Segue un episodio consacrato a chi, viceversa, all’eccidio bellico si vorrebbe sottrarre, ricorrendo a tutte le vie per marcare visita e farsi internare in un ospedale psichiatrico. Come sempre, il membro del sodalizio chiamato a stendere questo brano si sa documentare a dovere, nessuno potrà mai accusare i Wu Ming di essersi adeguatamente documentati. Solo che, strada facendo, il narratore smarrisce il filo conduttore, ci porta alla presenza di un tale Giovanni Mizzoli verso cui deve scattare il classico interrogativo “lo è o ci fa?”, siamo cioè in presenza di un abile simulatore, o di un vero alienato, tanto che perfino la moglie deve prendere le distanze da lui e supplicare l’ospedale di tenerlo rinchiuso?
Il terzo episodio frequenta certi miti della letteratura, ma anche qui non sappiamo se il fine sia rievocativo, di stendere un capitolo relativo al Surrealismo e dintorni, o invece di portare una nuova accusa a carico delle nefandezze della guerra, su cui, beninteso, ogni lettore di buon senso è del tutto convinto e partecipe. L’estensore di questa parte, invece che consultare documenti di vita militare, ci parla di un eroe minore appunto dell’epopea surrealista, Jacques Vaché, che per protesta contro tutti i valori acquisiti si dà all’omosessualità, morendo per eccessiva assunzione di oppio abbracciato al compagno di vita, orrido caso per la famiglia che vorrebbe far cadere su di lui la classica “damnatio memoriae”, ma c’è uno spirito sodale quale André Breton che vigila a tutela di tutte le eversioni sessuali, sociali, psicologiche, anche perché ha trattato con un caso simile, la misteriosa Nadja cui ha dedicato una famosa indagine. Il tutto visto attraverso una trepida testimone, una giovane sorella di Vaché che tenta di ricostruirne le mosse, maledette e rimosse dalla famiglia.
Forse l’episodio più accettabile è il quarto, anche perché l’estensore di questo capitolo fa un passo indietro rispetto al verosimile della creazione poetica, nei cui confronto il nostro quartetto è sempre alquanto incerto e frastornato, preferendo invece rifugiarsi nella solida certezza dei documenti di archivio e restituendoci la veritiera storia dei lunghi passi attraverso cui, in Italia e in Francia, si arrivò a scoprire che il “camouflage”, ovvero l’adozione del mimetismo nelle armi e nelle divise dei soldati, era una misura necessaria per proteggere la truppa, ma un simile provvido e necessario procedimento incontrò la stupida resistenza delle gerarchie militari. Questa, come si diceva sopra, è l’unica vicenda che giustifica il titolo, infatti le tute mimetiche, se adottate, avrebbero reso “invisibili ovunque” le povere truppe. Ed è davvero uno di quei capitoli che piacerebbero alla storiografia delle “Annales” ovvero ai cultori di microstoria.
Wu Ming, L’invisibile ovunque, Einaudi stile libero, pp. 201, euro 17,50.