Letteratura

Viviani in retromarcia

In questa mia rubrica parlo raramente di poesia, perché temo di trovarmi di fronte il poetichese, cioè un trattamento di questo genere letterario troppo conformista e consueto, di cui un baldo difensore è per esempio, sulle pagine della “Lettura” del “Corriere”, un critico  titolato come il Galaverni, Ho fatto eccezione, l’altra settimana, per Marco Giovenale, dato che mi ha convinto la sua proposta estrema e in apparenza contradditoria di ricorrere a una “prosa in prosa”. Un quarantennio fa avevo riconosciuto un suo predecessore in Cesare Viviani, di cui ricordo ancora versi in apparenza sconclusionati e deliranti come “Ostrabismo cara”, o giù di lì, che mi avevano addirittura convinto a concepire un’antologia di casi dei quel tipo, intitolata “Viaggio al termine della parola”. Ma purtroppo da allora Viviani ha fatto conitnui passi indietro, il che beninteso gli ha assicurato l’appoggio dei “normali”, degli attaccati a tutte le possibili convenzioni della poesia, portandolo ai vertici del riconoscimento. Ora è stato accolto in una specie di Parnaso, in un collezione Einaudi dedicati ai casi eminenti di creazione poetica, mentre l’eretico Giovenale si deve accontentare di editotri minori, e della chiosa anch’essa del tutto minore che  può provenire da  un soggetto del tutto squalificato come me. Ora gli scarni versi di Viviani affondano nel vuoto, nel bianco., Noto con piacere che le brevi sentenze sono ancora divaricate, provviste di un pizzico di aberranza, ma non troppo sicura di dover procedere oltre. La sregolatezza dell’autore, insomma, attualmente procede con misura, così da non scoraggiare la folla dei convenzionalisti, pronti a celebrarlo. Ovviamente, nella misura che Viviani sta conquistando pubblici consensi, si allontana dai miei gusti, cosa per lui, suppongo,, del tutto insignificante.

Cesare Viviani, Dimenticato sul prato, Einaudi, pp. 82, euro 10.

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