Vittorio D’Augusta
Sono molto contento con me stesso per avere distinto la squadra forse troppo numerosa dei Nuovi-nuovi (quasi una ventina di membri) in due formazioni gli iconici, ovvero i figurativi, e gli aniconici, nome più calzante di quello generico di astrattisti, inflazionato, che caso mai sarebbero da dirsi artisti concretisti. Tra questi si distingue Vittorio D’Augusta, più giovane di me di soli due anni (1937), Al solito è la perizia di Sandro Malossini ad avergli dedicato una rassegna dello spazio di cui usufruisce presso il consiglio della Regione Emilia Romagna attraverso la direttrice Petitti, ma purtroppo prossima alla scadenza, speriamo che chi le succederà nella nuova direzione mantenga a Malossini il suo ruolo. Vittorio D’Augusta , da tipico aniconico, lavora in bianco e nero, con motivi tipici come la croce, ma ancora più tipico è il suo sistema di imballare questi suoi prodotti come fossero corpi sacri da bendare, o segreti da nascondere ai profani. A questo modo egli supera una piatta bidimensionalità e conferisce rilievo ai suoi prodotti attraverso avvolgimenti successivi, che verrebbe la tentazione di andare a scartare per vedere quali segreti contengano, ma forse rimarremmo delusi come davanti a un sistema di matrioske russe che non ci concedono il loro ultimo segreto, anche perché forse non esiste. Comunque ci si guardi bene di operare una simile operazione di denudamento delle opere de nostri Vittorio, bisogna accattarle in quei loro multipli avvolgimenti che forse celano qualche segreto, oppure sono solo compiaciuti di evitare una monotona bidimensionalità per darsi un rilievo ambientale, ma sempre nel silenzio e nel candore di una procedura in apparenza senza segreti.