Non ho mai lesinato il mio consenso ai narratori che hanno nel loro consuntivo il merito di essere intervenuti ai fortunati incontri di RicercaRE, tra cui Grazia Verasani, ma naturalmente questo non è un obbligo permanente, sono ammesse variazioni di consenso. In merito a quest’ultima uscita, “La vita com’è”, il mio giudizio si ferma a metà strada, un po’ sì e un po’ no, anche se bisogna pur apprezzare l’onestà, l’autolimitazione espresse dall’autrice già nel titolo, e ulteriormente precisate nel sottotitolo, da prendere alla lettera. Si tratta davvero di una “storia di bar, piccioni, cimiteri e giovani scrittori”, dove, dico subito, i primi termini della sfilata sono accettabili, costituiscono quanto c’è di buono nella narrazione, mentre qualche difficoltà nasce alla comparsa in scena di “giovani scrittori”, che poi in realtà sono da declinare al singolare. Nella fattispecie c’è un unico Giovane Scrittore il cui intervento in scena suona sempre alquanto falso. Come del resto lo è l’ìntera serie dedicata alle lettere. Non se la cavano meglio un antecedente Scrittore tout court, e anche uno Sceneggiatore. Diciamo insomma che le maiuscole fanno risuonare, nell’intera vicenda, tasti alquanto falsi, mentre sono i piccoli eventi con cui non è affatto il caso di sprecare delle maiuscole, quelli che davvero fanno presa e costituiscono un apprezzabile tessuto. Come per esempio i numerosi bar in cui il personaggio che parla in prima persona, e che certo adombra in larga parte l’autrice stessa, va a fare le piccole colazioni, o si prende momenti di pausa, o di incontri con amici. Per fortuna questi episodi minimi sono costellati dalla presenza di cani che leccano il pavimento per raccoglierne le briciole dei cornetti caduti dalle labbra dei consumatori. Ed è divertente anche la guerra di nervi con la cliente che si impossessa del quotidiano del giorno, con tanto di asticciola, e non lo molla. Non è poi sbagliato inserire nella sfilata la vicenda del piccione che blocca l’incedere della protagonista a bordo di un’auto, come del resto apprezziamo la gatta maestosa che allieta l’altrimenti triste abitazione della madre. Abbastanza divertente è la goffaggine del padre novantenne che ancora pretende di toccare il fondoschiena di qualche signora, sollevando le rimostranze della moglie. Come si capisce, siamo nel quadro dell’autonarrazione, oggi così diffusa tra i nostri autori, forse per sfiducia nelle loro doti inventive a livello di trama. Ma se si cercasse di trovare la soluzione pescando nelle vicende professionali, di un autore in cerca non già di personaggi bensì di promozione, editoriale, pubblicitaria, giornalistica, allora la fantasia è scarsa, soprattutto se questo capitolo viene affidato al Giovane Scrittore e alla sua petulanza. La narratrice ce lo rende insopportabile, con le sue telefonate a tutte le ore, la sua sicumera e baldanza, C’è però da chiedersi se questo modo di comportarsi del Giovane Scrittore non sia semplicemente la malacopia dell’iter che la stessa narratrice ci snocciola, Ovvero, lei c’è già passata, per quelle tappe, e dunque, inutile irritarsi se qualcuno pretende di adempiere ai medesimi riti. Del resto, la nostra scrittrice senza maiuscola in definitiva lo comprende, accetta le avances dell’autorello, giunge perfino a baciarlo, gli promette aiuto. In conclusione, e in sede di bilancio, visto che affrontare “la vita com’è” non è poi fonte di tante risorse, e le tappe dell’ascesa al Parnaso, anche quelle, non sembrano una valida via d’uscita, forse si può consigliare alla Verasani di rimettere in pista la sua detective, Giorgia Cantini, dove ad assicurare al racconto una spina dorsale ci sono i delitti e gli altri reati, mentre l’indagine porta ad applicare una lente d’ingrandimento su “la vita com’è”, dandole evidenza e sapore.
Grazia Verasani, La vita com’è, La nave di Teseo, pp. 219, euro 17.