Ricevo dalla Feltrinelli il romanzo d’esordio di Valerio Principessa, La casa del tè, e ben volentieri me ne occupo, come succede ogni volta che qualche editore si ricorda di me e mi spedisce un libro senza obbligarmi ad acquistarlo, se ovviamente un simile prodotto abbia qualche merito e valga la pena di parlarne, Come è senza dubbio in questo caso, anche se si tratta di un romanzo che scappa da tutte le parti, e risulta ben difficile tentare di farne un riassunto, il che però è pure un dato positivo, evita di cadere nel peccato della parafrasi piatta. Protagonista è Gabriel, abbandonato dai genitori, che sono animali solitari, assolutamente inadatti a occuparsi della prole. Ma per sua fortuna Gabriel trova in Casa Retrouvailles un luogo ospitale, una specie di asilo o orfanatrofio confortante, retto da una alquanto misteriosa Michicko, giapponese come ne dice il nome, da cui il titolo, La casa del tè,che però trovo improprio, meglio sarebbe stato dire La casa del saké, la bevanda con cui la padrona di casa cerca di tranquillizzare i giovani ospiti, quasi di narcotizzarli. Ma certo è una brigata dispersiva, ricca di protagonisti, da menzionare in un lungo elenco, Leo, Chiara, Greta, Sear. Amina, che sciamano via come api da quel provvido alveare, che resta però sempre pronto a riprenderli nel proprio seno, quando i casi della vita si fanno troppo amari e difficili da reggere. Nello stesso tempo tanta varietà di personaggi è come dare in mano al narratore una rete da pesca a maglie larghe, con cui andare a sorprendere una molteplicità di casi umani. Ma certo l’attrazione del nido di partenza è sempre pronta a esercitare un richiamo, c’è chi addirittura ha fatto scorta degli odori che vi si respirano, cercando di imprigionarli in un piccolo contenitore. Un’altra caratteristica di questa erranza multipla dei protagonisti è una loro continua oscillazione tra il pensare in grande, fino a contemplare i segreti cosmici, o invece andare a sbattere contro i piccoli incidenti quotidiani. Chi sono, i modesti trovatelli di Casa Retrouvailles, a cominciare da Gabriel, dei pensosi intellettuali dediti anche a letture di alto bordo, o invece dei miseri mortali obbligati alle attività più modeste e di basso conio per sbarcare il lunario? Il romanzo sbanda, fatica a trovare un suo baricentro, una linea di condotta, di svolgimento, ma in un momento come questo in cui siamo assediati da tante storie “ben fatte”, magari con il finale approdo nel “giallo”, arma sicura per dare compattezza alle vicende, proprio un simile stato di precarietà congenita diventa un dato apprezzabile.
Valerio Principessa, La casa del tè, Feltrinelli, pp. 283, euro 16.