Ho visitato nei giorni scorsi Ytalia, la mostra molto ambiziosa curata da Sergio Risaliti in luoghi magnifici di Firenze, il Forte di Belvedere, sale interne e ampie terrazze affacciate su uno dei più bei panorami del mondo, e in altre tra le sedi più rappresentative della Città del Giglio. Un mio commento sintetico potrebbe valersi di una frase oggi molto diffusa tra il popolo statunitense nei confronti del nuovo capo di Stato: Trump non è il mio presidente. Allo stesso modo, ovviamente “si licet parva componere magnis”, io posso dichiarare che questa non è la mia Italia, con la ipsilon o no, essa non mi rappresenta, non ci sono molti degli artisti per cui io mi sono battuto in lunghi anni della mia carriera. Il suo titolo esatto dovrebbe essere “Celantabo”, infatti si tratta di un cocktail costituito al 70% di immancabili protagonisti dell’Arte povera, e per il resto da scelte operate da ABO. Il lato triste della vicenda è che Risaliti di suo non ci ha messo proprio nulla, ma questo sembra essere il destino fallimentare di critici e curators venuti un’abbondante generazione dopo di noi, rimasti soggiogati dal fascino del duo Celant-ABO e intenti a leccargli il fondoschiena, come se solo quei due fossero i depositari della saggezza. E gli altri, a cominciare da me, ma ricordando anche qualcuno più di me, Calvesi, Menna, Boatto, Crispolti ecc.? Roba da nulla, da qualificare, dantescamente, con un “non ti curar di lor ma guarda e passa”, persone che non esistono, fuori dal listino internazionale, e quindi da rottamare, beninteso assieme alle infelici opzioni che hanno preteso di sostenere.
Per carità, se si va a vedere i prescelti, i “primi della classe” di questa selezione presuntuosa e aristocratica, che semmai sarebbe il caso di chiamare “Risalitia”, non ho nessuno, nel mio piccolo, da bocciare, anzi, a ciascuno di loro ho dedicato analisi articolate e positive, senza certo aspettare che fosse Risaliti a indicarmi la strada, in qualche caso mi è capitato pure di esporre le medesime opere, che infatti, in genere, godono del privilegio di essere già state viste molte volte, ma la cosa non conta nulla per chi, come Risaliti, opera per l’eternità, pretende di costituire un museo delle glorie italiche valido per sempre. E dunque, che conta se il magnifico scheletro di De Dominicis è già stato esposto tante volte, perfino dal reazionario Sgarbi, e quasi al fianco del Duomo di Milano? I candidi fantasmi di Fabro affacciati sul parapetto, in estatica visione del panorama più bello del mondo, io li avevo esposti a Belluno, in sede certo più volgare e meschina. Il doloroso autoritratto di Boetti, che quasi per raffreddare il male interno si annaffia copiosamente, è stato esposto per mesi al Beaubourg. E così via, ognuno di questi capolavori, che di questo certo si tratta, un generico popolo di amanti dell’arte ha già avuto modo di ammirarli tante volte. Ma quello che sconcerta, è la sicumera di chi fa la lista, di chi stabilisce il canone cui attenersi, procedendo anche al negativo, con bocciature ingiustificate. Succede come quando in una lista elettorale si concede al votante di cancellare i nomi che non contano. E così, se si tratta dell’Arte povera, vengono cancellati, chissà perché Calzolari, Zorio, la stessa Marisa Merz, evidentemente ritenuti indegni di sorpassare la magica soglia. Ancora più esosa la selezione ai danni della Transavanguardia, di cui passa il solo Paladino, esclusi invece Chia, Clemente Cucchi, De Maria, colpevoli di quali reati? Naturalmente non si parla dei Nuovi-nuovi, roba da chiodi, si sa bene che sono espulsi da ogni pubblico simposio, a cominciare dai capofila, da Salvo e da quell’Ontani che oggi, a quanto pare, sta trionfando perfino troppo, ma i loro nomi non entrano nell’albo d’oro che conta, non vi si trovano, sarebbe quindi di cattivo gusto venir meno alla consegna, fare uno strappo al galateo. In definitiva, dove si può rinvenire qualche sprazzo di novità? Nella comparsa, devo dire copiosa e con pezzi significativi, di due toscani come Marco Bagnoli e Remo Salvadori, ma per carità, non si pensi a una volgare applicazione di uno “ius soli”, il fatto è che il magno Celant, ben deciso a chiudere la stalla del poverismo, a non farci entrare più nessuno, ha fatto solo un’eccezione per questi due, e per pochi altri. Ma si vedono con piacere le piastrelle decorative, dei mandala, degli azulejos monocromi, con cui Salvadori ha costellato e animato la facciata dell’austera fortezza, e si vede pure con piacere la spaziosa panchina in cui Bagnoli ha prodotto un abile mix, un omaggio a Fabro, e ai cenci in cui ha avvolto il suo “spirato”, con accanto le dame, gli scacchieri tracciati da qualche rozzo emigrante seduto per un momento a contemplare il magnifico paesaggio circostante, che è la moneta che compensa tutte le insufficiente e gli arbitri di questa antologia, da cui l’Italia, con la sua molteplice e ben sfaccettata realtà artistica, è ben lontana.
Ytalia, a cura di Sergio Risaliti, Firenze, Forte di Belvedere e altre sedi, fino al 1° ottobre. Catalogo in preparazione.