Letteratura

Uno slavato giallo di Antonio Manzini

Nell’attuale sterminata produzione di gialli il più delle volte sono gli attori protagonisti a prevalere rispetto alle pagine che gli autori gli dedicano. Questo è senza dubbio il caso della vasta serie di vicende partorite da Antonio Manzini, dalle quali emerge soprattutto la figura dell’investigatore principe, Rocco Schiavone, che cerca di imporsi e dare un senso a vicende altrimenti alquanto banali, tutt’altro che sorprendenti. Già avevo lamentato la banalità di trama, e di soluzione del caso, fornita da una prova recente dell’autore, Ah l’amore, l’amore, cui malgrado tutto avevo dedicato un pollice sull’”Immaginazione”. Ora forse siamo a un grado addirittura inferiore con un ultimo arrivato, Vecchie conoscenze, caso alquanto smorto e assai poco stuzzicante di un’anziana signora, tale Sofia Martinet, trovata morta nella sua dimora con un bruitale colpo alla testa. Era un personaggio di qualche valore, specialista di studi su Leonardo, anche se questa sua presunta qualificazione intellettuale resta molto nell’ombra, o meglio, trova un riscontro in colleghi di pari valore, in qualche caso suoi allievi, che l’hanno accompagnata in vita, Momtague, Richter, su cui il nostro prevedibile Schiavone, col seguito di poliziotti da lui dipendenti, non manca di concentrare i sospetti, Sospetti inevitabilmente sono pure i parenti della vittima, ma un marito che l’ha lasciata da tempo, per l’inaridirsi dei reciproci rapporti, non ha difficoltà a dimostrare la sua estraneità, anche per comprovata lontananza dalla scena del delitto. Più facile concentrare i sospetti sul figlio, Gianluca, mala pianta, di cui ci sono tracce di presenza nell’abitazione della vittima, forse ne ha utilizzato il computer quando lei era già morta, forse ne ha approfittato per compiere qualche furto a sollievo di una situazione economica molto disastrata. Il tutto procede molto pigramente e senza stacchi notevoli. Semmai, qualche nota insolita e rilevante dobbiamo andare a cercarla ai margini, per esempio nella cagna Lupa che accompagna, meglio di un essere umano, le ricerche di Schiavone. E il vanto del primato, se si è alla ricerca di un pizzico di originalità, va assegnato al figlio di una vicina di casa della assassinata, un minorato Dario, che farfuglia frasi indecifrabili in una sua lingua personale, di difficile decifrazione. Si vorrebbe quasi sperare che fosse stato lui, in un momento di follia, a compiere l’omicidio. Insopportabile invece il duetto degli omosessuali, l’agente Deruta e un tale Federico, che non osano dichiarare la loro situazione, Questo è ormai uno stereotipo che ritroviamo in ognuno dei gialli di repertorio, quasi come certe statuine del presepio che è d’obbligo piazzare per completezza. Poi forse lo stesso Manzini, facendo qualche conto delle pagine scritte, deve aver constatato che la vicenda narrata ci stava troppo larga, bisognava rinforzarla, rimpinguare il volume con un altro omicidio, ed ecco quindi comparire un’altra vittima, tale Enzo Baiocchi, ma il bello, o il brutto della storia è che tra i due delitti non mi pare esista alcun nesso, si tratta proprio di due vicende appiccicate per fare volume, per consentire al sicuramente disponibile e sempre piacevole Schiavone di raddoppiare le sue prestazioni.
Antonio Manzini, Vecchie conoscenze, Sellerio, pp. 407. Euro 15.

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