Mi sono acquistato la monumentale biografia di Margherita Sarfatti stesa da Rachele Ferrario, con cui questa studiosa ha continuato e fatto culminare, almeno per il momento, un industrioso percorso di opere analoghe, partito dal basso, da una attenta ricognizione di un personaggio minore nel clima del Novecento Italiano, Renato Paresce, neppure entrato nel numero dei Sette titolari di quella etichetta, 5n cui si riconosce il massimo contributo critico della Sarfatti. Ebbi il piacere di partecipare a una presentazione di quel primo saggio, mentre ho “saltato” il successivo dedicato a Palma Bucarelli, e ora mi trovo in presenza di questo nuovo maestoso contributo. Il quale però, direi, abilita l’autrice non a conquistare una cattedra di storia dell’arte contemporanea, o di fenomenologia dell’arte e simili, nel sistema universitario in cui non è stata ancora accolta. Le si addice piuttosto una cattedra di Storia dell’Italia contemporanea, quasi a lato del magno Renzo De Felice, tra coloro cui si devono contributi tali da far luce sugli anni foschi della dittatura. Non è che agli artisti del Novecento in senso stretto, a cominciare dal numero uno Sironi, non sia dedicata l’attenzione che meritano, ma sempre un po’ di sfuggita, da chi si sente chiamato a fare di meglio in altri settori. Segno eloquente, il fatto che nel gremito elenco di autori citati non compaiano le varie Rossana Bossaglia e Claudia Gianferrari e Elena Pontiggia che davvero, e ben prima della Nostra, hanno contribuito al rilancio di quel movimento, a lungo disprezzato o addirittura rimosso da tutti noi. E dopo tutto, anch’io qualche granellino in questa direzione l’ho dato. Noi, orgogliosi cultori di una critica allo stato puro, potremmo vendicarci, nei confronti della Ferrario e del suo oltraggioso silenzio verso i possibili colleghi, osservando che in lei abbiamo una maestra della da noi tanto disprezzata critica intenta a stendere i conti della lavandaia, frugando nelle retrovie del vero atto creativo. Ma ammettiamo che a questo modo ci viene una messe di informazioni preziose da noi forse a torto neglette o addirittura ignorate. Per esempio, accanto a Margherita c’era un marito? Sì, e neppure da lei trascurato, anzi presente, e perfino amico di Mussolini. E che dire di quel figlio Roberto, da lei tanto amato, caduto da eroe adolescente al limite della Grande Guerra, a noi noto solo quando all’improvviso si è parlato del restauro della tomba progettata per lui dal grande Terragni? Non so poi se, nelle pagine del De Felice, che io, da fenomenologo degli stili e non dei partiti italiani quale sono stato, non ho mai consultato con molta diligenza, era già detto quanto apprendiamo da queste pagine, che cioè la Sarfatti fu vicina al Dux allorché costui era titubante se abbracciare la causa dell’interventismo o se invece attenersi alla neutralità preferita dagli allora suoi compagno socialisti. E fu pure accanto a lui quando era incerto se tuffarsi nella Marcia su Roma o invece nascondersi assieme a lei nel buen retiro che l’amante aveva nel Soldano. Ci viene detto inoltre che questa dama straordinaria fu finanziatrice con parecchi milioni di allora proprio della Marcia su Roma. E tante altre cose, del fastidio, che assieme al suo Benito, concepiva verso il Vate D’Annunzio, che appariva assai meno “maschio” e meno risoluto nella decisione di impadronirsi del potere. Insomma, un perfetto accordo, sfociato proprio nelle pagine della biografia intitolata al Dux, che fu un successo di stampa, con innumerevoli copie vendute e traduzioni in tutto il mondo, Né del resto questa perfetta intesa se ne andò in tempi rapidi, ma anche negli anni Trenta continuò a reggere, tanto che Margherita fu ambasciatrice del dittatore, udite udite, alla corte del presidente Roosvelt, a sancire l’intesa che ci fu allora tra i due capi nel portare il proletariato fuori dal tracollo della depressione del ’29. Poi, certo comincia il processo di allontanamento, provocato dalla folle politica antisemita imboccata dal Dux, che del resto aveva al suo fianco ormai due altre donne ispiratrici, l’amante in carica finale Claretta e la figlia Edda Ciano. Le pagine della Ferrario si leggono “come un bicchiere d’acqua”, anche perché cosparse di aneddoti di buona lega, come quello riguardante un drammatico incontro tra la diva ormai decaduta e il nuovo astro, cioè Edda, che, incontrandola casualmente, bollò la ex-rivale con una frase ingiuriosa: ma chi è quella lì? Tanto che consiglierei la Ferrario di tentare di ricavarne un soggetto per un film o per uno sceneggiato televisivo. E così via, apprendiamo come la regina sconfitta dovette apprestarsi a fuggire dall’Italia, cosa non facile perché un’amata figlia rimaneva nelle mani del Dittatore. Un destino randagio, Parigi, il Portogallo, poi l’Argentina. E, finita la guerra, il rientro in patria, il tentativo di rilanciare la sua stella appassita, sempre con orgoglio e spirito di grandeur, Davvero, dopo questa lettura, sappiamo tutto a livello umano, psicologico, sociale di questa grande protagonista, La storia e la critica d’arte sono un’altra cosa, ma certo questi “conti della lavandaia” le forniscono una base assai utile.
Rachele Ferrario, Margherita Sarfatti, Mondadori, pp. 403, euro 25.