Mi stupisce piacevolmente la resistenza di una forma d’arte quale il romanzo, in un periodo in cui, per effetto del disastroso lock down, sta andando molto male per altri generi, quali le mostre d’arte e gli spettacoli. E dire che non facciamo altro che lamentare la crisi del cartaceo. Oltretutto, le librerie hanno riaperto, a differenza dei cinema e teatri e musei, e dunque ho potuto acquistare “Il treno di cristallo” di Nicola Lecca, autore a me fin qui sconosciuto, ma invece questa prova mi sembra convincente e passibile di un buon voto in pagella, certamente superiore a quanto ho assegnato all’ultimo prodotto di un narratore pur famoso e da me apprezzato in altri casi come Giuseppe Culicchia, ma non certo per il suo “Il cuore e la tenebra”, che pure ha qualche vicinanza nel soggetto col presente romanzo di cui vado a parlare, In entrambi i casi c’è la presenza di un padre crudele, troppo impegnato nella musica così da trascurare la prole ricordandosene solo in punto di morte. Ma Culicchia ha il torto di delineare troppo il genitore crudele, e di assegnargli ben due figli, che finiscono per farsi ombra a vicenda, Jl nostro Lecca è molto più semplice, qui il genitore è lasciato nell’ombra, da personaggio tristemente solitario qual è, con qualche reminiscenza addirittura dostoevskijana, essendo di collocazione slava. Non si sa come sia riuscito a generare il giovane Aaron, che abbandona subito lasciando l’onere di crescerlo a una povera madre senza risorse, Anja. Del figlio il tristo, solitario, disumano genitore si ricorda solo “in articulo mortis”, facendogli avere i soldi che consentano di raggiungerlo nel luogo della sua morte, per recarsi da un notaio che gli comunicherà la consistente somma di cui è divenuto erede. Il romanzo è l’itinerario di Aaron per raggiungere, dalla località inglese remota in cui ha trascorso una triste adolescenza senza grandi speranze, attraverso vari Paesi e capoluoghi d’Europa, Berlino, Praga, Bratislava eccetera, il luogo in cui il padre è scomparso. Un merito di Lecca è di non calcare troppo la mano, in questa peregrinazione, che espone il protagonista a tante tentazioni, droga, sesso, malaffare. C’è una eco in minore e sottotono delle vicende arroventate e infernali che un grande narratore come Aldo Busi ha affidato alle sue scorribande iniziali. Qui tutto è più attenuato, ma anche protetto dagli alti e bassi, alquanto gratuiti, che invece solcano la prova per tanti versi simile di Culicchia. Un altro punto a favore di questa vicenda sta nell’amore che il giovane itinerante si porta dietro, nato, come succede al giorno d’oggi, grazie a incontri virtuali, affidati alla rete, al “chattering,” in cui gli riesce di dialogare con quella che crede possa essere la sua anima gemella, portatrice di un nome, Crystal, in cui pare riassumersi tutta la limpida leggerezza di queste pagine. Ma scopriremo che nella realtà Crystal è già scomparsa da tempo, è ormai solo una finzione tenuta in vita da una madre angosciata, esattamente come quella di Aaron, solo che a quest’ultima il deus ex machina della vicenda assegna una sorte felice, tutto finisce bene per il suo rampollo, mentre nel caso di Crystal alla madre non resta che il gesto estremo di disfarsi di quanto ne ricorda la misera ed effimera esistenza terrena.
Nicola Lecca, Il treno di cristallo, Mondadori, pp. 249, euro 18.