Apprendo dal mio solito informatore, “Artribune”, del 19 novembre, che in un grattacielo milanese dovuto all’archistar Liebeskind una ditta, a scopo pubblicitario, ha esposto per qualche giorno un capolavoro di Sandro Botticelli, il ritratto di Giuliano de’ Medici, proveniente dalla Accademia Carrara di Bergamo. Sarebbe superfluo aggiungere qualche chiosa a un’opera così nota, se non fosse che essa risponde in pieno ad alcuni punti-chiave del mio passato insegnamento di fenomenoloia degli stili, una disciplina nata nell’innovativo corso DAMS, di cui avevo dichiarato progenitore ad honoremGiorgio Vasari. L’Aretino non è stato un granché come facondo pittore, ma geniale come critico, attraverso i tre prologhi che si leggono nelle sue Vite,con relativa distinzione in tre maniere, che nel suo linguaggio, e della sua epoca, sono l’equivalente di quanto noi poi abbiamo chiamato “stile”. Ebbene, Botticelli è il capofila della seconda maniera, assieme ad altri suoi coetanei quali il Perugino, il Ghirlandaio, il Signorelli, il Pinturicchio, artisti nati a metà del Quattrocento, chi poco prima o poco dopo, verso i quali, giustamente, il Vasatìri non dichiarava certo una grande stima. Mentre la sua piena adesione andava a quelli nati circa una generazione dopo, per i quali usava la magistrale definizione di appartenenti alla maniera moderna. Tra questi, in anticipo sugli altri, Leonardo, nato (1452) in prossimità del Botticelli e degli altri appartenenti alla seconda maniera, ma capace di fare il salto di qualità. E proprio un confronto tra il ritratto eseguito dal Botticelli con quelli usciti dal pennello del Vinci ci fa cogliere tutta la differenza tra le due maniere. Per dirla in breve, nei dipinti del Botticelli e dei suoi coetanei, tranne il caso di Leonardo, non esiste l’atmosfera, essi ne ignorano l’esistenza, pongono le loro immagini come sul suolo lunare, il che porta a delineare fermamente i contorni, senza stemperarli, con scioltezza e rigore assoluti. Invece Leonardo li stempera, li sfuma, perché la sua incalzante modernità lo porta a scoprire la presenza dell’atmosfera, che ammorbidisce i lineamenti, e magari fa scherzare all’aria i capelli, mentre nei ritratti di Botticelli e compagni questi se ne stanno in una massa compatta, entro contorni rispettati al massimo. Così è in questo tipico ritratto del fratello di Lorenzo, che fu vittima della congiura dei Pazzi, e che rivisse attraverso il papato conseguito dal figlio col nome di Clemente VII. Si potrebbe dire che fino a quel momento il carro dell’Occidente non avesse ancora deviato dalle modalità di altre culture, a cominciare dalla più progredita tra tutte, quella cinese, in piena concorrenza con la nostra. Infatti potremmo anche riassumere questi vari tratti stilistici presenti nel dipinto botticelliano dicendo semplicemente che esso consiste in una elegante “ombra cinese”, il che non si può certo ripetere per i ritratti leonardeschi, ed è proprio questa la ragione di fondo che mi ha portato a togliergli la paternità di un ritratto come la Dama dell’ermellino, opera anch’essa, come tutte quelle degli appartenenti alla seconda maniera, che appare “sforbiciata”, incapace di ammorbidirsi per effetto di quell’ingrediente allora ignoto a tutti tranne che a Leonardo, l’atmosfera.