Arte

Un grande Pozzati in veste grafica

Concetto Pozzati ha chiuso con un grande exploit la sua lunga carriera riuscendo a produrre la serie di opere intitolate “Vulv’are”, che la figlia Maura, vigile custode della gloria paterna attraverso un archivio allestito ad hoc, ha voluto allestire non negli spazi da lei stessa diretti presso la Fondazione del Monte, in Via Donzelle, ma in una galleria privata, la Più, Forse per mantenere distinti i ruoli e non approfittare di una sua funzione pubblica. Quello che ci viene offerto attraverso questa ricca messe di vulve è quasi un fatto di famiglia. Concetto è sempre stato legato alla memoria del padre Mario, morto troppo pesto perché si potesse capire che cosa in definitiva ne sarebbe venuto, ma è entrato in vivace contrapposizione con lo zio Severo Pozzati, Sepo, che, emigrato a Parigi, e alla scuola di Leonetto Cappiello, vi ha riportato negli anni Trenta un grande successo nel cartellone pubblicitario,e con creazioni universalmente note, basterà ricordare quella dedicata al Panettone Motta. Rientrato in Italia nel dopoguerra, Sepo si è vergognato di quella sua attività benché di alto livello. E ha voluto riprendere un mestiere di puro pittore, senza però distinguersi in particolar modo, E allora il nipote Concetto si è fatto lui stesso erede e continuatore di quella magnifica vena grafica, portandola a collimare con il clima Pop stabilitosi in tutto l’Occidente negli anni ’60, riprendendo proprio quelle eccellenze grafiche di famiglia che lo zio stava gettando alle ortiche. Questa chiave Pop, che fa dell’organo femminile quasi un prodotto di massa, occhieggiante sugli scaffali dei supermercati, svincolato da ogni portata erotica eccessivamente visibile, segna una rotta completamente diversa rispetto ad altri casi di pur grandi cultori della vista dell’organo femminile. Il pensiero va tutto a Courbet e al suo Commencement du monde, dove la vulva compare con forte veste materica, come viluppo, quasi polipo ingoiante. E abbiamo avuto una ripresa quasi con la stessa violenza e irruenza dalle nostre parti, quando è rientrato, anche in questo caso da Parigi e rivisitando i nostri luoghi, Mattia Moreni, col suo invito-trappola rivolto a belle signore di presentarsi a lui per averne un ritratto. Le “disgraziate” rispondevano all’invito sistemandosi su una poltrona, ma sentendosi invitare ad aprire le gambe, perché ll ritratto che Moreni ne voleva ricavare era una sorta di mar dei Sargassi di folto pelo, a coprire l’oscura e beante cavità. Ebbene, nulla di tutto questo nella via seguita da Concetto, che, come detto, procede a una elegante stilizzazione grafica dell’organo femminile, facendone un raffinato e delicato oggetto di consumo, buono per ogni uso, come fosse un frutto esotico, una bacca proveniente da quale Paese coloniale, una spezie da mettere nei condimenti. E l’artsita si diverte a moltiplicare queste apparizioni rispettando i riti pubblicitari che richiedono la serialità delle immagini, Inaftti in questa presentazione Concetto si compiace di sperimentare tutte le tecniche e i formati, dai piccoli ai grandi, evitando in ogni caso le comparse singole, dato che i riti del consumismo richiedono il grande numero, e dunque queste larve, questi frutti secchi appaiono a grappoli, con una coazione a ripetere, a moltiplicare, anch’essa di segno diverso rispetto ai Courbet e Moreni. Questi volevano fare della fica un essere singolo, un polipo divoratore, pronto a non mollare la pesa, mentre Pozzati intende farne un oggetto di consumo come un altro, offerto a piene mani, senza cesnsure, divieti, ritrosie. Siamo in presenza come di un giardino fiorito di tante immagini, magari iniettate di opportuni liquidi per mantenerle in vita, occhieggianti, palpitanti davanti a noi, ma pur sempre indossando una livrea di riserbo, di decoro, proprio come si addice ai prodotti di massa.
Concatto Pozzati, Vulv’are, a cura di Laura Rositani e Stefano Delfiore, Galleriapiù, fino al 28 dicembre

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