Mi fa piacere che Genus Bononiaenon sia del tutto morta, dopo la destituzione del suo creatore, Fabio Roversi Monaco. Certo sotto il suo successore, Filippo Sassoli de Bianchi, le mostre sono meno raffinate, comunque ci sono, ho potuto lodare la settimana scorsa l’omaggio reso a Bruno Pulga nella sede della Chiesa della Vita. Ora nella casa madre, Palazzo fava, viene ospitata un nostra dedicata a Giovanni Fattori, anche se posta sotto il segno di uno di quei titoli generici, “acchiappa-pubblico”, L’umanità tradotta in pittura. Si tratta proprio di una esposizione posta sotto il segno del numero, della quantità, piuttosto che della qualità, senza ricerca delle origini e degli sviluppi dell’artista, e sena alcun riferimento ai compagni di gruppo. Del resto è da notare anche uno scambio di consegne, Giuliano Matteucci, ora il nostro maggiore esperto e mercante di pittura dell’Ottocento, lascia la guida della sua Fondazione omonima alla figlia Elisabetta, La mostra vuole essere decisamente di taglio “popolare”, e per questo aspetto fa centro, durante una mia visita ho notato una folla di presenze che purtroppo non si sono viste in altri casi. Del resto, la quantità di opere, che più che seguire una logica stilistica si adattano alle pareti del percorso, talora vaste, spaziose, talaltra strette e longilinee, mi ha fatto nascere in mente un curioso parallelo con quanto riesce a produrre oggi lo schermo di un computer, paragone che a un Fattori redivivo riuscirebbe del tutto ostico. Ma si sa che su quel piccolo scherno le immagini possono essere ingrandite a piacere, o rimpicciolite, e variate anche nel formato, eretto in verticale o allungato in orizzontale. Ebbene, è quanto accade nella pittura di Fattori, per dono suo naturale. Talvolta le scene, di cavalli, di buoi alla stanga o all’abbeveratoio, si allargano a dismisura, in grandi fornati, talaltra invece si restringono, si fann piccole piccole, E poi c’è pure la variabilità dei formati, dal rettangolare al verticale alla striscia, come in un lungo orizzonte. Ma soprattutto emerge la capacità dell’artista di attrezzare quegli spazi con delle specie di cesure o di respingenti. Nella serie numerosa dedicata a temi bellici, gli unici che non hanno nulla a che vedere con Manet, indenne a cimenti guerreschi, mentre sono in stretta sintonia col migliore degli impressionisti statunitensi, Winslow Homer, a movimentare lo spazio ci pensano le bianche bandoliere dei militari, che appunto rigano lo sazio, gli dettano una misura, magari aiutate pure dal biancheggiare delle tende. Altrove ci pensano muretti, porticati occhieggianti, comunque è regola fissa che la vastità degli orizzonti venga spezzata, scandita da elementi di rottura: Per questa ragione, mentre Fattori è sicuro maestro di paesaggi, di vedute, anche molto affollate, non lo è altrettanto nei ritratti, se non sia il suo famoso in cui del resto, dietro il volto, campeggia la solita scansione con effetto domino, a righe biancheggianti, E’ invece pesssimo, insignificante il ritratto posto nella copertina del catalogo, forse per spinta del non nominato proprietario, che così raggiunge il non felice esito di macchiare una mostra diversamente gradevole, accogliente, su misura della grandezza del protagonista.
Fattori, a cura di C. Forghieri, E. Matteucci, F. Panconi con testimonianza di P, Avati, Bologna, Palazzo Fava, fino al 1° maggio, cat. Skira.