Arte

Un confronto Constable-Turner alla Tate Britain

Anche in questa domenica, ultima di luglio, invito a una visita virtuale, a Londra, Tate Britain, per una mostra che chiude proprio oggi, dedicata a due dipinti strategici, rispettivanente di John Constable e di William Turner, che tante cose sembrerebbero unire, ma che invece sono, l’uno alla conclusione, l’altro all’apertura di due epoche diametralmente opposte. Si tratta in sostanza di due coetanei (1776-1837 il primo, 1775-1851 l’altro, appena un po’ più longevo), ed ebbero entrambi in comune l’eccellenza nel praticare l’arte del paesaggio. Ma Constable fu un perfetto erede di qualla che il nostro Vasari, con eccezionale spirito critico, aveva chiamato “maniera moderna”, poi codificata dai manuali che ci parlano proprio di una età moderna. Nel peaesaggio questa via è stata aperta da Leonardo, il primo ad accorgersi che siamo immersi nell’atmosfera, da cui derivano infinite conseguenze meteorologiche, ignorate da tutti i suoi predecessori e coetanei Gli aveva subito fatto seguito il Giorgione della “Tempesta”, quindi nel Seicento erano arrivati i grandi paesaggisti olandesi, di cui Constable è l’erede, come in una staffetta ideale. Da loro prende il testimone e lo tende verso i Francesi, da Courbet agli Impressionisti. Si veda appunto il dipinto esposto alla Tate, “Cathedral from the Meadows”, una visione a tinte corrusche, impastata di fango, con un cielo denso di nuvole tempestose, che esibisce anche un mirabile fenomeno contingente, un arcobaleno, colto a volo come un prezioso fiore dell’effimero. Su questi toni densi, materici, terrosi si innesterà la musa di Courbet e via via di tutti gli Impressionisti. Totalmente diversa è invece la veduta di Turner, “Caligula’s Palace and Bridge”, in cui, intanto, abbiamo la visitazione a ritroso di una rovina archeologica, che è un gesto di sfida all’obbligo di essere “absolument moderne”, proprio di tutta la schiera dei naturalisti, vecchi e nuovi. Con lui, semmai, si annuncia quell’età cui i manuali non hanno saputo dare etichetta migliore di quella del contemporaneo, vacua, inefficace, tanto che io preferirsco sostituirla con un’altra più evidente ed esplicta, quella di postmoderno, in quanto il prefisso indica chiaramente il rapporto di consecuzione. Ma non è una misera questione di date, di cronologia, ho detto infatti mille volte che a costituire la differenza sta il fattore scientifico-tecnologico. I moderni sono ligi alla fisica galileiana-newtoniana, nelle sue varie accezioni, invece i postmoderni hanno una prima intuizione che l’universo è retto dalle leggi dell’elettromagnetismo. Questo il collante che unisce, o divide, le particelle fische, portandole a esplodere, a emettere radiazioni, luminescenze. Questo svincolarsi dgli obblighi prosaici del “moderno” consente a Turner di andare a rivisitare l’”altro” forno, il paesaggismo classico-razionale di Claude Lorrain, dominato dai raggi onniestesi di un sole che non è tanto un astro fisico quanto piuttosto una espressione di razionalità unitaria, cartesiana, una metafora del Roi soleil e del suo potere unificante. Turner eredita questa luce diffusa, però la svincola dall’astro solare, comprendendo che ormai al suo posto può subentrare una qualunque esplosione nucleare, la materia si può accendere ovunque, scoppiare qua e là, rendendo lo spettacolo multiplo, policentrico. In questo caso ci sono delle rovine di un avanzo arceheologio, ma la luce impazzita dell’esplosione le supera di slancio, le corrode, sembra già di vedere uno di quei mozziconi di edifici che a Hiroshima hanno tentato di opporsi alla distruzione di ogni altro oggetto fisico. La luce straripa, invadente, corrosiva, ubiquitaria, senza più essere legata a un centro riconoscibile. Quanto poi alla vegetazione, anche questa subisce come una ustione, gli alberi prendono l’aria di fumate, o di geyser che si levano dal suolo emettendo i loro spruzzi energetici, senza alcun rispetto per un normale atlante floreale, cui invece va l’ossequio fedele di ogni paesaggista “moderno”. Insomma, Turner viaggia lontano, supera i tempi, da autentico “postmoderno”. Per conprenderlo e apprezzarlo dobbiamo valerci di un buon manuale che ci parli della fisica di oggi, all’insegna di Einstein o anche oltre. Insomma, si tratta di un discorso opposto rispetto a quello, a modo suo tranquillizante, seguito dal suo oppositore di allora, oggi uscito fuori dalle coordinate dell’epoca in cui viviamo.

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