Arte

Un commosso ricordo di Arrigo Lora Totino

Purtroppo nei giorni scorsi è venuto a mancare Arrigo Lora Totino, a 86 anni di età, quando peraltro da tempo la moglie Lou e gli amici ben sapevano che la sua esistenza era ormai al limite. Io ho avuto la consolazione di avergli permesso di leggere al momento giusto la monografia che gli ho dedicato due anni fa, in collaborazione col collega Pasquale Fameli, Campanotto editore, e un anno prima lo avevo pure invitato nel quadro delle celebrazioni delle Settimane internazionali della performance. Arrigo era stato da me chiamato per ricordare l’edizione del ’78, dedicata alla poesia sonora, che lo aveva visto fondamentale protagonista. Purtroppo le sue condizioni di salute erano già incerte, e dunque, al tavolo della commemorazione, non gli fu possibile ripetere le sue straordinarie performances, era penoso vederlo recitarle col solo movimento labiale dentro di sé nel tentativo di accompagnare la manifestazione sonora consentita dalle registrazioni di allora. Qui, per ricordarlo, basterà che mi limiti a confermare almeno tre aspetti su cui ho concentrato la mia attenzione nel saggio appena menzionato. In lui c’era prima di tutto la natura dello studioso, che rendeva omaggio, ricostruiva anche con cura filologica quanto avevano fatto sulla strada della poesia visiva, sonora, performativa i grandi predecessori della prima metà del Novecento, con particolare attenzione al capitolo del nostro Futurismo che in ciò, come è ben noto, e come Arrrigo ci ha ricordato, aveva svolto un ruolo di primaria importanza. Mi onoro di essere stato chiamato da lui ad accostare un mio testo storico-critico a una preziosa antologia di quel materiale illuminante da lui curata e affidata a una serie di LP, Kramps Records Editore. Ma beninteso Arrigo non si limitava certo alla funzione pur estremamente utile dello studioso e del conservatore, bensì continuava sullo slancio tutti quei fermenti e propositi. E qui scatta la seconda ragione della sua importanza, trovavo in lui il verificarsi di quel connotato generale che è mio compito storico attribuire all’intera seconda metà del secolo scorso, cioè un ampliamento quantitativo di quanto magari i padri fondatori avevano già fatto, ma con esitazione e in punta di piedi. Tutte le loro invenzioni sono state da lui riprese, ma con un ingrandimento, secondo la metafora che mi è cara dell’applicazione di una specie di pantografo, come si usa in scultura. Al suo caso è stata coniata pure l’etichetta di “ultimo futurista”, ma è un “ultimo” che invece di chiudere viene ad aprire, secondo un’altra mia parola chiave, che fa appunto dell’aperto il destino generazionale degli appartenenti alla seconda metà del Novecento (detto tra parentesi, non so per quale strana deformazione lo si chiami il secolo breve, quando al contrario mi sembra che sia stato lunghissimo, addirittura debordante, per cui navighiamo ancora sullo slancio delle sue vaste ondate). Ma infine c’è pure una terza ragione dell’attualità e della grandezza di Arrigo. Molti dei suoi compagni di banco, magari solleciti come lui nel recuperare le tracce dei predecessori e nell’estenuarle, lo hanno fatto con uno spirito serioso, quasi da scienziati e tecnologici più che da artisti, invece in lui c’era sempre, dominante, un connotato di leggerezza, di agilità mentale e anche corporale, lo si dovrà ricordare racchiuso nella calzamaglia nera che fasciava e rendeva elastica la sua silhouette, permettendole di insinuarsi molle, sferzante nello spazio. Dall’eredità del Futurismo una delle doti che ha saputo ricavare meglio sta nel “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, ovvero in ogni sua impresa, atto, performance risuonava pur sempre una nota di gioco, di scacco matto ad ogni rischio di austerità. Nell’arca di Noé su cui caricare tutti i contributi indimenticabili proveniente dal “secolo più lungo e più ricco”, non si potrà trascurare di imbarcare anche i tuoi doni, Arrigo. Noi superstiti vigileremo perché tu sia sempre presente e influente.

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