I coniugi Massimo e Sonia Cirulli per anni e anni sono venuti acquistando sul mercato opere importanti soprattutto di area futurista, puntando su quelle meno pregiate, e dunque non dipinti e sculture, di quelle che si dicono appartenere alle arti maggiori, privilegiando invece le altre che un tempo erano dette “minori” o applicate, in cui invece sta il cuore della produzione del nostro grande movimento, soprattutto nella sua fase “seconda”. In particolare, la loro attenzione è andata ai manifesti pubblicitari, proseguendo per questo verso il ruolo che era stato della Collezione Salce a Treviso. Ora si sono decisi al grande passo, istituendosi in Fondazione e andando ad acquistare l’edificio biplano, sito sulla via Emilia di Levante, voluto dal maggiore animatore del design del nostro secondo Novecento, Dino Gavina, con al fianco la tenace socia Maria Simoncini. La progettazione di quel laboratorio era stata affidata a due architetti di grido, Achille e Pier Giacomo Castiglioni. Se non ci fosse stato questo intervento salvifico dei coniugi Cirulli, un edificio così importante sarebbe stato forse distrutto, per totale incuria delle autorità locali, forse spianato per dar luogo a un parcheggio, o a un discount, a un McDonald, a qualche “non luogo” del bieco consumismo attuale. Così invece uno dei due corpi è già stato restaurato, mentre per l’altro i Cirulli sono in attesa di avere la disponibilità finanziaria per procedere, un passo alla volta. Ma è già molto invitante la perfetta sequenza di vetrine in cui si possono ammirare fogli, bozzetti e altro della grande officina futurista, a cominciare proprio dai reperti cui un tempo si accordava scarsa fiducia, secondo un pregiudizio purtroppo rimasto dominante perfino al momento delle celebrazioni avvenute a un secolo di distanza dal manifesto marinettiano del 1909. In quell’occasione Roma, a suo eterno disdoro, è andata a prendere una brutta mostra concepita dal rivale Beaubourg di Parigi e mossa dal prevalente scopo di far apparire la dipendenza del nostro movimento principe dai cugini francesi del Cubismo. La Capitale, in tal modo aveva trascurato colpevolmente il suo ruolo storico, che era stato di divenire, dal 1915 in poi, la sede primaria di questa fase seconda, in cui il movimento si era totalmente aperto alle arti applicate, sotto la guida magistrale di Balla e Depero. La Fondazione Cirulli in qualche misura è vendicatrice di questa disastrosa dimenticanza, anche perché ha dovuto fare di necessità virtù. E’ evidente che oggi nessun privato può strappare ai musei pubblici, o trovare sul mercato, i capolavori della fase milanese del Futurismo, ma al banchetto si possono invitare ospiti di seconda fila, che poi oggi ci appaiono ancor più interessanti. I Cirulli si sono valsi dell’assistenza di una agguerrita docente e studiosa locale, Silvia Evangelisti, e di uno statunitense ormai rivelatosi come l’”italianista” numero uno per quanto riguarda i nostri anni Trenta. Jeff Schnapp, ed ecco allora questa convincente parata, disposta sulle pareti o in bacheche, di questi illuminanti documenti, che puntano soprattutto all’architettura, con disegnini del numero uno di quella congiuntura, Sant’Elia, ma anche di un deuteragonista come Virgilio Marchi. E poi c’è una vetrina per il laboratorio fotografico di Bragaglia. E tanta attenzione appunto ai protagonisti dei secondi o terzi tempi, come furono i fratelli Michaelles, uno dei quali nascosto sotto il nome criptico di Thayat, e abbondante presenza pure del talento “in progress” di Munari. Poi, ogni tanto, a dare slancio alla sfilata, si innalzano i roboanti e clamorosi manifesti dell’epoca, magari rivolti a celebrare l’epica della conquista degli spazi aerei. Né del resto mancano saggi di bella pittura, come i rari dipinti con cui un altro astro allora nascente, Osvaldo Licini, partecipò nel ’14 alla famosa mostra all’Hotel Baglioni di Bologna, accanto a Morandi e ai fratelli Pozzati, un appuntamento per cui, forse con enfasi eccessiva, Carlo Ludovico Raggianti ebbe a coniare l’epiteto di una “Bologna fatale”. Con orgoglio Cirulli avvisa che quanto si può ammirare al momento è solo una punta di iceberg, o l’affioramento di un’isola felice, mentre nel ventre della balena sono in attesa tanti altri documenti, per i quali si aprirà, appena possibile, anche il corpo simmetrico del biplano, ovvero del felice catamarano approdato sulla Via Emilia.
Fondazione Cirulli, Universo futurista, fino all’8 novembre.