Finalmente un’opera che balza fuori dal main stream da me lamentato più volte, negli ultimi tempi. Non la solita storia della ragazzina con tante disgrazie, ma anche con l’opportunità di accedere al successo che consentono i media, le comparse televisive. Si ratta di Veronica Raimo e del suo Niente di vero, a cui semmai posso rimproverare il titolo, dato che al contrario le testimonianze di cui il romanzo è farcito sono del tutto vere, anche se volutamente contradditorie tra loro. Del resto avevo lodato a suo tempo almeno due su tre apparizioni della Raimo, l’iniziale Dolore secondo Matteo e Tutte le feste di domani, per cui avevo addirittura osato pronunciare un riferimento a un capolavoro assoluto come la flaubertiana Madame Bovary. Qui intanto, in omaggio a un compito di testimoniare il vero, la protagonista è una donna, che fa l’altro procede molto alla scoperta, dichiarando di chiamarsi Veronica, anche se in famiglia il nome viene abbreviato in Verika. E di avere un fratello, come succede proprio a lei, accompagnata o avversata nella carriera dal più anziano di soli quattro anni Christian, cui ho dedicato una recensione per un romanzo molto meno drammatico, anzi, svolto nel segno dell’umorismo, come dice il titolo stesso, Tranquillo prof. Del resto l’umorismo entra anche nelle testimonianze o nel diario privato della sorella, però è un umorismo amaro, attento a contrastare ogni aspetto che possa costituire una nota positiva. Tutto qui è preso per traverso, reagendo a una madre fin troppo apprensiva e manierata, a un padre che si rifugia ad ogni passo nella frase stereotipata “siamo arrivati al paradosso”, quando si trova davanti un caso più grande di lui dal quale non sa bene come uscire. Alla base di tutto ci sono le confidenze della protagonista, sublimi quando parla del sesso, del salsicciotto che ha scoperto nei maschi, da cui è a un tempo affascinata e inorridita. L’accompagna una specie di innocenza o candore o ingenuità che serve appunto per dare più rilievo alle marachelle o alle nefandezze che attorno a lei compiono gli adulti, si tratti di parenti o di amanti occasionali, quelli che passo passo la portano a sperimentare anche la procreazione, ma con la connessa inevitabile decisione di sbarazzarsi di quel frutto inopinato, il che dà modo alla scrittrice di narrate per traverso, e con tanto umorismo nero, come avvengono gli aborti. A contestare ulteriormente quel titolo improprio, niente di vero, c’è pure il rapporto col fratello Christian, nominato allo scoperto, senza l’ ipocrisia di nascondere sotto nome pretestuoso qualche personaggio influente sulla propria vita. Anche i rapporti con Christian sono tutti improntati a un saliscendi, di rivalità, tensioni, rappacificazioni improvvise. Come del resto è tutto il romanzo, una trama di umori atrabiliari pronti a mutare a ogni passo e a trasformarsi nei loro contrari. Forse per questo verso il titolo dato alla vicenda può essere preso sul serio, ma a patto di alleggerire il sostantivo, il “vero” qui è una fata morgana sfuggente, un filo esile sempre pronto a interrompersi o ad avvolgersi su se stesso per negare ogni evidenza. Tutto in questa narrazione è labile e fuggente, il che ne costituisce il fascino e l’aspetto positivo.
Veronica Raimo, Niente di vero, Einaudi, pp. 161, euro 18.