Tra Matisse e Bonnard
Artribune di ieri, 28 dicembre 23, ci informa che a Brera sono stati messi a confronto due ritratti, di Matisse, La femme au violon, proveniente dall’Orangerie, e di Bonnard un Ritratto di Marta, la moglie. Tra i due dipinti, non c’è gara, dato che Matisse in quel momento, attorno agli anni Venti, è già avviato a quella sua semplificazione progressiva, quasi una stenografia, che scarnifica le figure mutandole in pure, ritmiche silhouette, e cioè inaugurando un codice caro alle avanguardie del primo Novecento. Invece Bonnard in quel momento si trovava in una impasse, in quanto aveva già abbandonato la fase Nabi, che era stata tra gli esiti più ragguardevoli del Simbolismo in pittura, e non aveva ancora iniziato quella sua fase ultima che mi è sempre piaciuta molto, in cui anticipava certi esiti di realismo del Novecento, da Hopper a David Hockney, che mi interessano anche nei miei modesti tentativi di ritorno alla pittura. Ed era proprio la moglie Marta che lo ispirava a riprenderla nella vasca da bagno, non evitando di sbattere la faccia nei mille accidenti che sono propri di un interno domestico, laddove la stenografia di Matisse se la cavava riducendo e semplificando, aprendo la strada, semmai a un Alex Katz, o agli schemi ugualmente magri e rachitici di Keith Haring. A suo tempo, incaricato dai Fratelli Fabbri a stendere il secondo volume della loro monumentale storia dell’arte del nostro tempo, avevo dedicato proprio a Bonnard un intero fascicolo, preferendo soffermarmi al suo seguito sui mille dettagli di un interno piuttosto che anteporgli i tracciati elementari, o i ritagli, i coupons dei collages dell’altro, che a parer mio non portavano lontano. Ora mi pare che le quotazioni, di Bonnard, non mi riferisco a quelle del mercato ma alle ben più valide della critica, siano in rialzo, e forse proprio per le ragioni qui accennate, mentre Matisse se ne sta nella sua gloria solitaria e poco frequentata.