Mi riesce opportuno stendere oggi un pezzo simmetrico a quello che esattamente un anno fa avevo dedicato al rito della Scala di aprire la stagione il 7 dicembre dando un’opera di grande impegno. Allora la scelta era caduta sull’”Attila” di Verdi, in proposito mi ero permesso, pur mancando quasi del tutto di conoscenze in campo musicale, di esprimere un giudizio pesantemente negativo su molti degli aspetti sia dell’opera in sé sia del modo come era stata accolta dal pubblico. Quest’anno la scelta è caduta sulla “Tosca” di Puccini, al cui proposito il mio giudizio si rovescia simmetricamente. Riassumo i vari punti su cui allora si era basato il mio parere fortemente negativo. Non si apre una stagione con un atto filologico, o archeologico, di recupero di un infelice melodramma giovanile di un autore, anche se poi destinato a grande successo. Insopportabile in particolar modo mi era apparso il linguaggio del libretto, un italiano cruschevole, indigesto, contrario per esempio al grandioso sforzo manzoniano di educarci a un italiano nazionale corretto e di uso comune, anche se col torto di andare a pescarlo nelle vie di Firenze. Nel complesso, Verdi mi sembra corrispondere, seppure a ben più alto livello, a quanto nella pittura, falsamente detta “romantica”, si trova in Hayez, e molto meno in Manzoni stesso. Del resto, proprio in quell’occasione dichiaravo una mia senza dubbio limitata e criticabile impostazione che mi induce ad apprezzare l’opera fino a Mozart e a Rossini, passando poi con una specie di salto con l’asta fino a Puccini, che come data di nascita corrisponde in pieno ai miei amati Simbolisti dei vari fronti, pittura con Previati e Segantini, per restare all’Italia, e letteratura con Pascoli e D’Annunzio. E tanto per cominciare, eccellente il libretto di Giacosa e Illica, di buona prosaicità, in linea con una parlata di tutti i giorni, cui la musica pucciniana aderisce alla perfezione, in totale concordia. E anche il dramma in sé è pieno di attualità, anche se non si capisce perché lo si voglia porre sotto il segno della gelosia, evocando lo spettro shakespeariano dell’Otello. Il ventaglio che in un primo momento suscita senza dubbio risentimenti di gelosia in Tosca, scompare in seguito quasi del tutto, mentre lei appare come una autentica campionessa di una specie di “me too” dei nostri giorni, fedele al suo Cavaradossi, che a sua volta corrisponde proprio a un perseguitato dai poteri forti sempre esistiti, con obbligo che qualcuno lo nasconda ai tentativi della polizia di impadronirsi di lui. Sempre nel segno dell’attualità è pure il comportamento del bieco Scarpia che vorrebbe approfittare del suo potere per costringere cedergli, come docile preda, la bella donna, ricattandola con la promessa di fornire un salvacondotto per il suo amato. E comprensibile, naturale, spontanea è la reazione della donna che giunge a uccidere il corruttore, facendo forza alla sua istintiva innocenza e nobiltà d’animo. A questo punto del copione, se proprio si vuole, il melodramma si concede delle vie trasversali che un qualche romanzo dei tempi si sarebbe vietato per un minimo di rispetto ai canoni della verosimiglianza. Come può Tosca uccidere il potente tiranno, e perfino vantarsene col famoso “davanti a lui tremava tutta Roma”, e uscire indenne dal covo del nemico? Una partigiana, trascinata nella camera di tortura dei repubblichini, mai avrebbe potuto sperare di farla franca, ed è pure del tutto ingenua la speranza che il salvacondotto strappato a Scarpia non venga immediatamente annullato. Vana dunque è la pretesa di Tosca di salvarsi da Castel S. Angelo assieme al beneamato. Ma, tornando ai valori musicali, pur nella mia crassa ignoranza fin da piccolo sentivo mio padre lodare le virtù del “coro muto della Butterfly”, qui ci siamo, l’alba vissuta da Cavaradossi nel carcere è un grandioso “coro muto”, in cui lo sperimentale Puccini inserisce quasi dei ready-made, il suono delle campane e la canzoncina di un pastorello, Sono inserti degni davvero dello spirito delle avanguardie per cui gli innovatori musicali, da Debussy a Stravinskij, hanno manifestato la loro adesione a Puccini. C’è poi la solita, forse inevitabile incongruenza, per cui la parte femminile, Tosca in questo caso, può essere conferita solo a una soprano, e questa deve essere bene in carne, fino alle dimensioni della donna cannone, un regola cui non sfugge Anna Netrebko, che pure dicono bravissima in quel ruolo. Ma certo esiste una contradizione con la parte di leggiadria e di bellezza che il copione le assegna. Sfuggiva a questo contrasto la Callas, ma perché si era sottoposta a un gravosa cura dimagrante che forse non aveva mancato di incidere sulla sua salute psichica.