Nel capitolo assai esteso dell’anti-renzismo è emerso di recente un “gufo” di prima classe, che infatti è stato subito disputato da un salotto all’altro dei talk show televisivi. Si tratta di Tomaso Montanari, figura mai incontrata nei mie decenni di docenza universitaria. E’ vero che li ho spesi nel settore arte contemporanea, mentre Montanari, apprendo da wikipedia, è un modernista, certamente con qualche pubblicazione a suo nome, ma di sicuro esiste una proporzionalità inversa tra la mole dei suoi contributi scientifici e la serie incredibile di onorificenze di cui è stato insignito. Io non ne ho mai rasentato una delle tante piovute su di lui. E dunque, visto che i suoi meriti sul versante scientifico non sembrano essere eccezionali, bisogna ipotizzare che abbia avuto alle spalle qualche padrino o madrina di peso. Ma ora, certo, nel nome dell’ani-renzismo di cui fa solerte professione, viaggia col vento in poppa. L’atto d’accusa di cui si vale è il più grave e anche ripetuto dal fronte degli oppositori, con Renzi saremmo al di fuori della sinistra, parola di chi magari non ha molto da dire in materia di storia dell’arte, ma su garanzie, marchi di fabbrica, attestati circa l’essere di sinistra o no, la sa lunga, bisogna credergli, le sue dichiarazioni su questo tavolo sono irrefutabili. Magari nelle sue ferme convinzioni non c’è alcun rispetto per un dato storico enorme, che cioè la sinistra, nel più di mezzo secolo che ci sta alle spalle, ma in definitiva risalendo fino alla tragica scissione di Livorno, nel nostro Paese è sempre stata spaccata in due fette, da un lato le varie versioni del marxismo, dall’altro la socialdemocrazia. Che Renzi sia un avversario del primo corno del dilemma e di tutti suoi onnipresenti eredi, è un sicuro dato di fatto, ma resta da considerare se invece non sia proprio un campione dell’altra metà della mela, quella che ha larga cittadinanza nel mondo occidentale, mentre da noi è sempre stata contestata proprio dagli eredi della scissione di Livorno, abituati a considerare i rappresentanti della vile socialdemocrazia come altrettanti parenti poveri da stigmatizzare e possibilmente emarginare.
Devo dire però che c’è un aspetto nella predicazione di questo vivace grillo parlante che mi trova concorde, ed è quando si leva contro la riforma voluta dal ministro Franceschini, di cui io stesso ho detto male, perfino sulle colonne dell’”Unità”. Infatti è stata operazione futile andare a mettere alla testa di alcuni nostri musei delle figure che risultassero capaci, non tanto di farli funzionare, ma di assicurargli una quantità maggiore di ingressi. Politica fatua, e non funzionante nella maggior parte dei casi. Del resto dovrebbe essere compreso nelle regole d’ingaggio dei classici e tradizionali soprintendenti il dovere che facciano marciare al meglio i musei loro affidati, ingressi compresi. Se qualcuno di loro non è all’altezza, basta cambiarlo con elementi più sicuri, magari, questo sì, andando anche a pescare fuori da graduatorie e gerarchie burocratiche. Molto più utile e assennata l’azione di Franceschini quando riapre l’assunzione dal basso, di giovani capaci di rimpinguare le nostre istituzioni. Ma a che punto siamo con questi concorsi, e il numero dei posti in palio non è forse troppo limitato, anche al fine di dare rimedio all’immane disoccupazione giovanile?