Come ho detto, martedì scorso ero andato al Palazzo Reale per la mostra di Sorolla, contando anche di visitare quella di Tiziano e l’immagine delle donne, ma un ritardo di treno, e gli appuntamenti pomeridiani, mi hanno permesso solo di gettare uno sguardo di fretta su Sorolla, lasciando perdere l’altra esposizione molto più considerata dagli organizzatori, e già provvista di lunga fila, Del resto, non ho ricevuto cataloghi né dell’una né dell’altra. Ma per Tiziano rimedia il dossier pubblicato dall’omonimo mensile Giunti, che a quanto pare mi ha censurato anch’esso, non mi dà più committenze. Non so bene se la mostra in Palazzo Reale segua le orme del dossier, ma la cosa non ha importanza, per uno come me che ormai agisce da libero operatore, senza obblighi di puntuale informazione giornalistica. Del resto, come sempre il dossier Giunti ricorre a ottimi specialisti, in questo caso si tratta di Augusto Gentili, raffinato iconologo, però in dissidio con la mia impostazione di fenomenologo degli stili. Però da Gentili c’è sicuramente molto da apprendere, come per esempio che nel famoso dipinto del Carpaccio, Due dame e la caccia in laguna, le figure femminili non sono di prostitute, come, chissà perché, si usa dire, bensì di mogli o amanti in carica che ammirano i loro uomini impegnati nella pesca in laguna, di cui appare un ampio specchio, ma posto in orizzontale come una lavagna coricata, su cui le barche dei pescatori o cacciatori incidono come delle stilettate. Nulla, dal punto di vista stilistico, potrebbe essere più in dissidio con la forma mentis tizianesca. Come appare giusto in termini cronologici, quello del Carpaccio è un dipinto pienamente appartenente alla seconda maniera secondo la classificazione del Vasari, per i cui protagonisti esiste un evidente imbarazzo nel movimentare le scene. Dunque, in definitiva, la vera carriera di Tiziano comincia con i tre affreschi da lui stesi nella Scuola del Santo, a Padova, e in particolare nella scena dedicata al Marito geloso, dove l’artista cadorino supera perfino il maestro Giorgione, sapendo comminare a quell’episodio un palpito di movimento, di cui Giorgione, se si pensa ai Tre filosofi, non si era dimostrato capace. Non ho che da riprendere gli aggettivi con cui, nella mia analisi affidata ai saggi di Manierismo emaniera moderna, definivo proprio la capacità di movimento dimostrata da subito dal genio cadorino. Flagranza nel cogliere l’attimo, e fragranza, freschezza nel renderlo. Ma così potrei dare l’impressione di voler dribblare il tema, rivolgiamoci a un capolavoro assoluto come La Venere diUrbino, degli Uffizi, dove il nudo della donna si manifesta in tutta la sua radiosa carnalità. Ma fin lì lo seguirebbero a ruota altri esponenti della terza maniera, anche se meno felici e centrali di Tiziano, sul tipo del Cariani e di Palma il Vecchio. Il nostro autore rivela la sua impareggiabile modernità in alcuni dettagli, il cagnolino accucciato ai piedi della dama, e soprattutto quell’angolo di stanza in cui due domestiche non si vergognano di svolgere le loro umili incombenze. Come dire che lo sguardo tizianesco è a tutto giro, nulla gli sfugge, di nuovo se ne possono esaltare le due doti della flagranza e fragranza. Che ovviamente hanno un ben noto culmine nell’Amorsacro e amor profanodella Galleria Borghese, con quell’ottimo paesaggio, ampio, coinvolgente, che ride alle spalle delle due protagoniste, in cui Tiziano dà prova della sua enorme ampiezza di visione sia nel darci una dama di grande bordo, sofficemente avviluppata nelle sue vesti, e dall’altra parte un nudo luminoso, caldo di sensualità. Ma sarebbe assurdo che io qui pretendessi di esaminare con qualche completezza le tappe di una carriera così eccezionale, corriamo verso i tempi della maturità e della vecchiaia, quando i nudi femminili pare che si gonfino quasi per il premere interno di enzimi, di sintomi di una incontenibile decomposizione che avanza, e dunque si fanno più voluminosi, ma senza perdere la loro sensualità, anzi, rendendola più visibile, quasi tangibile, palpabile. Penso alle accoppiate di Diana e Atteone, Diana e Callisto, dove Tiziano batte sul tempo la morbidezza, il senso di carni quasi in sfacelo che ci porta fino a Renoir. Inoltre pare quasi che la crescita, la levitazione del corpo femminile si comunichi anche al paesaggio circostante, e abbiamo allora il capolavoro della Morte di Atteone, Londra, National Gallery, con un recupero finale delle scene drammatiche da cui l’artista era partito. L’uccisione di Lucrezia ad opera di Tarquinio ripete l’episodio del Marito geloso, ma ormai senza possibilità di freno, di redenzione, l’atto è crudele, scoperto, gravido di tutta la violenza di un femminicidio degno delle cronache dei nostri giorni, mentre la violenza dell’atto si trasmette all’ambiente circostante, gli imprime i connotati di una brutalità, di una violenza senza limiti. Ancora una volta, è la narrazione di un atto delittuoso in tutta la sua flagranza, mentre ovviamente sarebbe stonato accompagnarlo con l’attributo della fragranza, dato il suo carattere irrimediabilmente brutale.