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Tinguely e Niki de Saint Phalle

Tinguely e Saint Phalle

   Milano congiunge di nuovo due artisti che furono legati nella vita, Jean Tinguely in nostra alla Bicocca, mentre Niki de Saint Phalle è esposta al Mudec, che riveste sempre più il ruolo di sede milanese per l’arte contemporanea.   I due furino legati da un rapporto affettivo,  ma anche di dipendenza,  Niki in una prima fase dipendeva da Tinguely, che dava di sé una rude immagine di maschilismo compiacendosi di esibire ruote dentate e altri aggeggi, da ragazzaccio impunito e ponto ad ogni provocazione. Per qualche tempo Niki lo seguiva o addirittura lo batteva in oltranzismo, per esempio nella famosa celebrazione  decennale dalla fondazione dei Nouveau Réalisme, il movimento creato da Restany e che proprio nel capoluogo lombardo diede di sé le manifestazioni  più riuscite, Niki si distingueva dal compagno tirando con la fionda delle serie di proiettili contro uno scherno. Ma in seguito Niki è sembrata accettare il suo destini di donna, unica in quel gruppo, rivestendo i nudi scheletri del compagno di una abbondanza di forme, come di una creatura in gestazione col bisogno di assicurarsi depositi di grasso, oppure si può anche ricordare l’immagine delle matrioske, con la loro tendenza a inglobare sempre nuovi corpi, come in una gestazione plurima, I due si divisero anche sul piano conservativo, ad assicurare i lavori di Tinguel ci pensava a Basilea la  Fondazione Beyeler, dove infatti mi recai in una afosa estate del 2003 quando stavo preparando la mostra commemorativa  di Restany da tenersi al PAC di Milano, allo scoccare del decennale dalla fondazione del movimento. Niki, unica donna di quel gruppo, si propose di addolcire le forme muscolose e brutali del compagno, come per una gestazione che la obbligava  a dotarsi di strati di grasso, ad assumere un prono bombato, rotondeggiante, O se si vuole un paragone più volgare, si pensi alle matrioske russe, sempre pronte a inglobare nuovi strati di pinguedine. I due si divisero anche a livello conservativo, ad assicurare la sopravvivenza  dei ferri brutali di Tinguely ci pensava a Basilea la Fondation Beyelert, mentre Niki si dotò di un suo proprio regno incantato, il Giardino dei Tarocchi, in cui parcheggiare questi suoi corpi bombati, gonfi, rotondeggianti, che oltre a esprimere un inno alla femminilità giocavano anche una carta favolistica, come rivelava il tutolo di questo regno incantato il Giardino dei Tarocchi. Dall’altra parte della medesima  collina in Toscana sorgeva pure il parco che si era costituito un altro dei novo-realisti, Danielk Soerrim, con cui fui in contatto sempre al fine di ricavare al PAC di Milano una mostra degna del ricordo di Restany, ma i rapporti che ebbi con lui non furono facili. Confesso di non essermi mai recato invece nel Giardini dei Tarocchi di Niki, dive l’accoglienza sarebbe stata più calda e favorevole, in omaggio sia alla componente femminile cui l’artista si sentiva legata,  sia anche del carattere ludico, favolistico che emanava dal suo regno.

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