Ho molto amato la pittura di Sorolla, ma sentendo sempre la necessità di collegarla ad altri tre artisti, a lui vicini negli anni e soprattutto nello stile. Lui, 1863-1923. Gli altri, lo svedese Anders Zorn, 1860-1920, e i meno noti dalle nostre parti, il norvegese Christian Krohg, 1852-1925, e il danese Peter Severin Kroyer, 1851-1909. Era una curiosa alleanza tra il Nord e il Sud Europa, e dunque dovrebbe essere proprio l’EU a farsi carico di esporli tutti assieme, essendo uniti da una sorta di super-impressionismo, o iper-realismo avanti lettera, a sfida della fotografia. Ci avevo provato io stesso, proponendo il quartetto al romano Chiostro del Bramante, molto poco convinto della cosa, tanto che mi pose condizioni capestro, un tempo limitato per realizzare il progetto e tutte a carico mio le spese dei viaggi per cercare i prestiti. E così mi feci nel giro di pochi giorni dei bei viaggi, in Svezia alla casa natale di Zorn, a Copenaghen, a Oslo, a Madrid. Fu un fallimento, solo dal direttore del museo Zorn, perfetto italofono, ottenni una certa considerazione, gli altri mi snobbarono del tutto, una parente di Sorolla lasciò anche lei cadere le mie avances, lusingata dall’annuncio che all’avo era promessa una mostra al Prado. Tornai quindi con la coda tra le gambe a confessare il fallimento a quelli del Chiostro del Bramante, forse dal canto loro sollevati dal rischio di dover sostenere una mostra in cui non credevano. Ora non è che neppure Milano celebri l’artista valenciano in pompa magna, infatti lo colloca nelle stanze più lontane e disagiate al primo piano del Palazzo Reale, riservando lo spazio d’onore a un grande classico come Tiziano, oltretutto presentato attraverso il tema femminile, e già si allungano le code dei visitatori, mentre pochi e incerti sono quelli per l’artista spagnolo, che però ugualmente sciorina le vesti candide, come lenzuoli, come vele al vento, destinati ad avvolgere le sue donne, non legate al cosiddetto eterno femminino bensì a solidi caratteri etnici. Meglio ancora quando quelle figure, robuste, atletiche, si tuffano in acqua, magari quasi a riva, come se il mare fosse una provvida tinozza per dare risalto alle forme, come se fossero dei balenotteri quasi spiaggiati, ma capaci comunque di mostrare solide carni ben abbronzate. Quelle immagini ci possono ricordare anche un nostro artista, di pochi anni più anziano, Francesco Paolo Michetti, che però, nell’affrontare il medesimo tema di bagni di donne sui bordi del mare, quasi diffidando del mezzo pittorico, aveva preferito valersi della fotografia, e quindi, in definitiva, fornendo prestazioni di tono minore. Mentre Sorolla, al pari del resto dei suoi lontani compagni di ventura, è sempre forte, plastico, quasi scultoreo, se non ci fosse pur sempre l’immersione nella calda luce mediterranea e nell’ acqua di mare a scorrere sulle epidermidi e ad ammorbidirle in misura conveniente, ricavandone magnifici riflessi di tinte. Diciamo pure che per tanta abilità egli sfiorava il limite del virtuosismo, cosa che però gli diede un successo nei due mondi, convinse per qualche tempo anche il pubblico statunitense. Mantengo un filo di speranza che qualcuno voglia intraprendere il pieno riconoscimento e la conseguente valorizzazione non solo di Sorolla, ma degli altri tre che in quegli anni gli fecero degna corona, resistendo a tutte le seduzioni delle avanguardie. E dunque, se si vuole, è pur strano l’ omaggio entusiastico che gli rende un fedele storico dello sperimentalismo novecentesco come il sottocsritto
Joaquìn Sorolla, a cura di Micol Forti e di Consuelo Luca de Tena, Milano, Palazzo Reale, fino al 26 giugno.