La Fondazione Ferrero di Alba dedica un omaggio al ricordo di Giacomo Soffiantino (1929-2013), il che non mi dispiace affatto. Lui stesso e i suoi due colleghi tornesi Sergio Saroni e Piero Ruggeri appena un po’ più giovani di lui mi ricordano una stagione gloriosa, quella dell’Informale, che fu anche forse la più importante per la mia città, Bologna, all’ombra di Francesco Arcangeli, che parlò, agli inizi dei Cinquanta, di Ultimo naturalismo, ma poi capì che bisognava confluire senz’altro nell’Informale, quale veniva tenuto a battesimo da Michel Tapié. Ci fu allora tutto uno scaglionamento di generazioni. Io personalmente, nelle prove informali che svolgevo in quegli anni, mi posso considerare un coetaneo dei tre torinesi. Ma eravamo preceduti negli anni dal quartetto capeggiato da Sergio Vacchi e Vasco Bendini, i quali a loro volta, sempre nell’interpretazione arcangeliana, erano preceduti dalle sue tre famose “M”, Morlotti, Moreni e Mandelli, Di questi anche Moreni in qualche misura proveniva da Torino, e a cucire questa alleanza tra le due città della Padania intervennero anche due gallerie, le più avanzate di quei tempi, la Bussola per i piemontesi e la Loggia per i petroniani. Soffiantino ora ritorna con un titolo abbastanza appropriato, Tra oggetto e indefinito, in quanto davvero nella sua pittura può sembrare che qualche oggetto, inizialmente duro e tagliente, si sciolga davanti ai nostro sguardo, avvolto da una nube di incertezza, come una pianta che scioglie la chioma e la porta a confondersi con l’atmosfera che la avvolge, Magari il percorso dei suoi due compagni di via era più netto e risoluto, quello di Saroni appariva ispido e tagliente, invece Ruggeri, al polo opposto, era pronto ad annegare i rari reperti oggettivi che ancora sopravvivono nelle sue tele in un mare di rosso sanguigno, il che gli assicurò più vitalità rispetto agli altri due, la possibilità di superare in qualche misura la soglia dell’Informale. Ma, tornando a Soffiantino, oggi forse gli si può concedere di essere stato il più puro, nel perseguire quel progetto di “indefinito”, come dice uno dei titoli dati alla sua mostra, dove però sembra che i curatori non abbiano il coraggio di pronunciare la parola fatidica di “informale”, ritenendola troppo invecchiata, risalente a stagioni remote e ormai dimenticate. Invece la memoria vigila, e per esempio ritornando agli Informali di specie arcangeliana e di nascita bolognese, proprio in questi giorni si tiene alla Galleria Nazionale di Roma una mostra commemorativa dei cento anni dalla sua nascita, che avrà echi e rimbalzi in altre esposizioni disseminate per la Penisola. Quanto a Vacchi, anche lui ha già avuto la sua mostra commemorativa, al Palazzo Fava di Bologna, ma anche in quel caso, chissà perché, i parenti celebranti si sono vergognati di affidare la commemorazione al miglior studioso in seconda di quel periodo (io magari ne sono stato solo il terzo), Enrico Crispolti, e si sono rivolti a un critico di altre generazioni e interessi, Marco Meneguzzo, che a dire il vero è stato il primo a stupirsi di essere chiamato a quella rievocazione, per lui impropria. Morale della favola, ricordiamo quella stagione senza timori e falsi pudori, usando il termine che lr spetta, quello di Informale.
Giacomo Soffiantino, Tra oggetto e indefinito, a cura di Luca Beatrice e altri, Fondazione Ferrero, fino al 10 giugno.