Ogni volta che Silvana Grasso esce con qualche nuovo romanzo, le confermo la mia adesione, e dunque la ripeto anche per questo ultimo “La domenica vestivi di rosso”, anche se forse non si tratta di un esito particolarmente memorabile, ma, nel suo caso, “repetita iuvant”, e dunque, si parte pur sempre dal mondo meridionale, in versione siciliana, che è l’humus congeniale alla nostra autrice, da cui trare personaggi e trame. Ma per fortuna la Grasso si mostra ben decisa a gravare i suoi eroi ed eroine di qualche piaga, di qualche tara corporale che ne consente anche l’evasione da un deprecabile “giusto mezzo”, condannandoli, o destinandoli, a coltivare qualche eccesso, qualche anomalia. Così è nel caso della protagonista del presente romanzo, Nerina Spanò, che nasce come robusta e florida bambina, ma portatrice di una salvifica, o orrifica deviazione. Infatti in ciascuno dei suoi piedini ci stanno non le regolamentari cinque dita, bensì sei, e dunque questa creatura è marcata fin dalla nascita da un connotato di mostruosità. In sé è ben poca cosa, ma quanto basta, in quel mondo di persone troppo ossequienti alla norma, per far gravare su di lei una specie di maledizione o di interdetto. Peraltro salutare, dato che, sentendosi espulsa da un vivere comune, la nostra Nerina può darsi al capriccio, nascondendo i piedi irregolari ma mettendo a frutto la sua prestanza fisica, e anche mentale. Infatti riesce bene negli studi, si avvia a una laurea, sogna addirittura di scrivere una autobiografia. Sul piano fisico, sentendosi reietta dal mondo dei normali, coltiva l’eros in modi eccessivi, senza remore e freni. Anche perché si trova quasi subito nella condizione di orfana, con una madre che muore quasi subito, e un padre che, in omaggio a uno stereotipo meridionalista, se ne va a fare fortuna in America, portandosi dietro anche una sorella di Nerina. Ma lei può contare su una cugina portatrice di una felice complementarità nei suoi confronti. Questa Natalina, così si chiama, è completamente dentro alla norma, tutta casa e chiesa, negata agli stimoli erotici, destinata allo zitellaggio, persa nei giorni a eseguire i modesti lavori domestici, come lo stirare gli indumenti suoi propri e altrui. Ovviamente la Grasso, fertile produttrice di opere, è condizionata da qualche schema, e dunque in questa ennesima uscita si ritrovano alcune impostazioni già presenti nel precedente “Solo se c’è la luna”. Anche qui compare un duo, tra una creatura satanica, tutta dedita alla rivolta, alla trasgressione, e invece una compagna che le assicura un po’ di tranquillità domestica. Il carattere eccessivo in qualche modo provocato dall’anomalia anatomica di cui Nerina è vittima le consente di trasgredire per ogni verso, a cominciare da quello linguistico. Entrata nei suoi panni, la narratrice può concedersi un linguaggio volgare, molto prossimo al parlato, disseminato di “cazzo” e di altre scurrilità del genere, che del resto la nostra Silvana sarebbe pronta a gestire direttamente, da abile performer quale sa essere. Ma soprattutto ad animare la vicenda ci sta la sfrenatezza di Nerina in campo erotico, il che le consente di squadernarci una brillante galleria di amanti, molti dei quali appartengono come lei alla categoria degli anomali. C’è il coetaneo barricato nel silenzio, e in una esibizione di mezzi di trasporto di alto bordo, fino a rimanerne vittima in un incidente spettacolare. C’è il medico rinomato cui Nerina si rivolge per essere curata, ma che risponde alle sue avances chiudendosi in un silenzio gelido e scostante. C’è infine un anziano, quasi un equivalente della figura paterna, un tale Leonardo, persona piena di anomalie e singolarità. Se ne sta barricato in casa, assieme a un gatto maestoso, ha quotidiani aneliti a partire dal natio borgo selvaggio, così da recarsi in stazione ma, preso da ansia, fobia, interdetto, rientra sconsolato tra le mura domestiche, dove ha accumulato un patrimonio di libri. Sua unica occupazione, di apparente generosità, è quella di aiutare le giovani studentesse a stendere le loro tesi. E’ insomma un misto di angelismo e satanismo, che non può mancare di attrarre Nerina, sempre alla ricerca di casi aberranti e insoliti. Forte e sicura nell’impostare i profili, le sorti dei suoi personaggi, la Grasso ha poi qualche difficoltà a “chiudere”, a saltar fuori dalle sue trame. Qui si vale di una soluzione quasi in linea con i “gialli” che oggi vanno tanto di moda. Nasce un incredibile equivoco tra il professore e l’allieva, questa ritiene utile “vestirsi di rosso” per stimolare il partner reticente a uscir fuori dal riserbo, ma è una scelta psicologicamente sbagliata che Nerina paga con la vita. Il rosso portato a livello di indumento si muta nel sangue della ferita mortale inflittale dal professore nevrotico. Trovo qualche similarità con l’abito bianco, sacrificale, con cui la parente di Piero Manzoni faceva l’autostop per le vie della Turchia, quasi alla ricerca del sacrificio estremo, come in definitiva anche la nostra Nerina se lo è cercato.
Silvana Grasso, La domenica vestivi di rosso, Marsilio, pp. 187, euro 16.