Credevo di aver trovati un libro giusto, perfino nel titolo, quello di Matteo Bussola intitolato a Un buon poso in cui fermarsi. E così è, almeno a stare al promo racconto, Infatti una sorprendente novità di quest’opera è di essere costituita da delle specie di racconti abbastanza distribuiti tra loro. Ben intonato il primo, dove infatti si narra di tre amici che, stanchi delle varie traversie proivenienti dal lavro, dagli affari di cuore, dai rapporti parentali, decidono di andare a vivere in una fattoria di campagna gestendola coi loro mezzi. Ma poi brani successivi aprono prospettive diverse e, in definitiva, vanno a ricalcare il main stream di tanti autori dei nostri giovani. Però c’è un ultimo racconto che salva l’opera, e mi fa venire in mente che se ne potrebbe trarre un’antologia, con un pezzo di bravura finale, che ci fa assistere a un parto improvvisato su un taxi, il cui conducente si prodiga nel miglior modo, e con successo, per trarre il feto dal grembo della puerpera e per peestargli le prime cure, in modi imbarazzati, improvvisati, ma anche efficaci. Un brano, ripeto, da antologia, se mai un giorno la si vorrà fare per tentare di salvare il buono che c’è pure in tatne prove generiche e disordinate.
Matteo Bussola. Un buon posto in cui fermarsi, Einaudi stile lib