Seguo direi fin dagli inizi la produzione letteraria di Tiziano Scarpa, con responsi in genere favorevoli, nella forma di “pollici retti” se affidati alla rivista l’”Immaginazione”, o comunque con toni positivi se invece consegnati, come questa volta, alla sfera semi-privata del mio blog. Ma non ero mai intervenuto sulla sua attività poetica, come invece faccio questa volta, rivolgendomi all’appena uscito “Le nuvole e i soldi”. In genere chi mi conosce sa bene che, in ambito letterario, il mio interesse va in primo luogo alla narrativa, e infatti sono proprio i romanzi di Tiziano ad aver sollecitato i miei interventi, ma un altro mio settore di attività, il “laboratorio di nuove scritture” detto ora Ricercabo, in quanto esercitato a Bologna, mi spinge a occuparmi dei lavori di poesia per la buona ragione che da questa provengono i più raffinati ed estrosi prodotti proprio “di nuove scritture”, mentre la narrativa appare più lenta nelle sue mosse. Quello che tradizionalmente si direbbe il territorio della poesia è, forse per la sua innata leggerezza, più mobile e irrequieto, gli elementi verbali sono pronti a frantumarsi, a disseminarsi sulla pagina, e anche a saltarne fuori aggredendo le dimensioni del suono, dell’immagine, del comportamento. Soprattutto, vige per la poesia il criterio dominante della brevità, o diciamo della sintesi, laddove la prosa è per sua natura affidata alla lunghezza, a uno spirito analitico. Altre volte mi sono valso di una similitudine presa dalla strategia bellica, soprattutto di specie navale. I romanzi sono le corazzate, le ammiraglie, i maxi-trasporti, laddove le prove poetiche sono i mas, le imbarcazioni fragili, agili da manovrare. Questo lungo prologo per dire che lo Scarpa in versione poetica viaggia a grande distanza dai raffinati frequentatori delle rive della poesia, niente a che fare neppure con un Marco Giovenale e con i suoi sodali, quando pure simulano di avvicinarsi all’avversario parlando di una “prosa in prosa”. Dopotutto, anche Scarpa, nel voltare pagina, può rifarsi a un classico del continente lirico, il baudelairiano “petit poème en prose”, che non per nulla, affrontato dal grande Charles, si apre proprio con un elogio delle nuvole. Non so se di ciò ci sia stata memoria espressa nel nostro autore, che nell’affrontare il territorio non familiare della poesia potrebbe aver pensato di iniziare proprio nel nome di quella tradizionale vacuità, leggerezza, inconsistenza spettante alla controparte. Ci sta bene insomma una invocazione alla “nifologia”, come si direbbe con termine in punta di penna, invocato pure da un narratore di successo come Tabucchi, del resto trovatosi a vivere in perenne fuga dai gravosi impegni narratologici. Invece Scarpa è narratore pesante, incardinato nella prosa più densa, grezza, materiale, e dunque ci sta bene che la futilità nifologica venga subito contrastata, sempre nel titolo, dalla comparsa dei “soldi”, cioè della componente più pesante e sporca che compare nella nostra vita di relazione. In effetti, i temi di queste liriche, a volerli estrarre, altro non sono che un condensato di tutti i motivi forti, aggressivi, tenebrosi che l’autore perlustra proprio nei suoi romanzi, non c’è nessun cambio di tema, ma solo di pedale. Vale a dire che egli abbandona il metro analitico, scompositivo, per abbracciarne uno sintetico, riduttivo, volto a stringere, ad accorciare, a condensare, ma nel rispetto della stessa brutalità, nell’affrontare i temi scabrosi del sesso, dei rapporti con i genitori, e quant’altro compare nell’opera narrativa, ivi compreso un immanente senso di ironia, di humour, pronto anche ad assumere il colore del nero. Insomma, nel trasbordo dei temi dal continente prosa a quello della poesia, nessuno sconto, nessun alleggerimento, ma solo l’intervento, ora, del criterio della sintesi, della riduzione, quasi della condensazione. Voglio far notare a questo proposito una brillante soluzione che appare nelle pagine di questo volumetto, e che potrebbe sembrare una concessione, da parte di Tiziano, a qualche marchingegno formale di cui sono così fecondi i suoi compagni del versante poesia. Ci sono alcune di queste liriche in cui la pagina è riempita da un sottofondo di frasi assolutamente prosastiche, ripetute continuamente, a fare muro, ma dal loro tessuto neutro l’autore preleva, e sottolinea ricorrendo a caratteri in grassetto, alcune frasi, alcune verità scomode, urtanti, sconvolgenti, che emergono da quel grigiore, da quel ronzio di fondo. Qualcuno potrebbe pensare al ricorso a uno stratagemma degno della poesia visiva, o dei giochi tra il cancellare e il lasciar sopravvivere che è proprio di Emilio Isgrò, ma lungi da Scarpa l’intenzione di lavorare di fioretto, di risorse formali. È invece proprio l’affidarsi al nudo criterio della sintesi, al lasciar emergere nella maniera più nuda e diretta alcuni dati scabrosi, drammatici, perfino tragici dell’esistenza.
Tiziano Scarpa, Le nuvole e i soldi. Einaudi, pp. 123, euro 11,50.