Letteratura

Sarchi: notte o luce diurna diffusa e monotona?

Non ero stato molto favorevole, nel giudicare l’”opera prima” di Alessandra Sarchi, “La violazione”, del 2012, affidando la mia recensione alle pagine dell’autorevole ”Tuttolibri” della “Stampa”, da cui poi sono stato radiato, forse per insufficiente capacità critica. Per cui un parziale risarcimento ora attribuito a “La notte ha la mia voce”, appena uscito, compare in forma semi-privata e destituita di ogni credito, come sono queste mie noterelle marginali. In quell’altro romanzo la Sarchi non si liberava da qualche residua traccia di verismo addirittura alla Verga, facendo giganteggiare la figura di un “padre padrone”, feroce possidente di “roba” e pronto a imporre una specie di “ius primae noctis” alle serve extra-comunitarie assunte a vario titolo nella sua fattoria. Contro di lui risultavano impotenti le mosse intraprese da personaggi più sensibili ai nuovi valori, un garzoncello non certo “scherzoso” che voleva impedire al Mastro Don Gesualdo reincarnato di abbattere alberi a suo piacere, fino a meritare la morte nella riedizione di un duello rusticano in salsa non molto mutata rispetto al vecchio copione. E impotenti erano pure due coniugi intellettuali che a loro volta cercavano di trovare ospitalità presso quel brutale colono, tentando anche loro di portarlo a una condotta più ligia ai parametri della nostra civiltà.
Tutto cambia in questo nuovo romanzo, a cui posso dare un secondo “neo”, riportarlo nell’alveo di un neo-nerorealismo, così come Standard and Poor potrebbe rialzare le quotazioni dell’economia di un Paese. Ora siamo in piena attualità, come del resto è ribadito dal fatto stesso che la protagonista ci parla in prima persona, così da simulare una sorta di autonarrazione, come è di moda al giorno d’oggi. E anche l’incidente di cui resta vittima è del tutto in linea con possibili accadimenti dei nostri tempi. Infatti le è capitato uno scontro in auto dai cui rottami è stata estratta, ma ormai paralizzata per sempre, dall’ombelico in giù. E il diario degli interventi cui viene sottoposta, con tutto il corredo di resoconti di operazioni estenuanti, di visite mediche in cui la paziente si sente ridotta a numero, a oggetto passivo, e la sofferenza di non poter più appoggiare i piedi a terra, di dover apprendere nuove, limitate possibilità di deambulazione, eccetera, tutto ciò è materiale fresco e apprezzabile. Viene in mente un caso analogo, anche se giocato su tutt’altro tavolo, della Parrella che forse non è mai stata così forte e toccante come quando ci ha narrato il dramma di una madre posta in vigile e spasmodica attesa accanto a una incubatrice in cui se ne sta un figlioletto nato prematuro. Così concentrata com’è sulla propria sorte, la protagonista trascura troppo di dirci in quale modo riesce a comportarsi verso un compagno e una figlia, che pure non l’hanno abbandonata al suo triste destino. Peccato, perché alla lunga il minuzioso diario di sofferenze, cure asfissianti, visite mediche che prendono anche il tono di una sopraffazione sessuale, rischia di stancare il lettore. Se ne avvede anche l’autrice, che capisce di non poter continuare sul medesimo tono. Bisogna mettere in gioco un diversivo, e ci riesce abbastanza bene, nella persona di una compagna di sventura, anche lei con gli arti immobilizzati, l’uno addirittura amputato, l’altro sostituito da una protesi artificiale. Ma per fortuna Giovanna è l’opposto della protagonista, per parte sua fin troppo sensibile e raffinata, che infatti deve ammettere di essere una “intellettuale”, con la pubblicazione di qualche libro alle sue spalle. L’altra invece è di bassa cultura, viene fuori dal popolo, ma è sanguigna e autoritaria, tanto da meritare il soprannome di Donnagatto, per la sua abilità nello scivolare tra i guai della vita e nel rovesciarli a suo favore. Inoltre, altra invenzione positiva, la nostra Donnagatto, per arrotondare il magro mensile che le viene dalla assicurazione, lavora in un call center, amministra un “telefono amico” dedito alla causa dei solitari affettivi. Col nome di Veronica, sollecita i loro istinti erotici, così anche soddisfacendo quella vita sessuale cui la sua stessa disgrazie non le consentirebbe di dare un giusto compimento. E l’amica del cuore le sta accanto, partecipa anche lei a quelle immaginarie avventure sessuali. Ma poi la nostra autrice non sa come saltar fuori dalla trama che pure ha abilmente impostato. La Donnagatto a un tratto scompare, forse dandosi a un nomadismo libertino e licenzioso quale è sempre stato nel suo carattere di fondo, e dunque la persona che si confessa deve riprendere a tessere il suo “cahier des doléances”, ma quando ormai tutte le corde sono state pizzicate e non resta molto da aggiungere.
Alessandra Sarchi, La notte ha la mia voce. Einaudi stile libero, pp.165, euro 16,50.
Non ero stato molto favorevole, nel giudicare l’”opera prima” di Alessandra Sarchi, “La violazione”, del 2012, affidando la mia recensione alle pagine dell’autorevole ”Tuttolibri” della “Stampa”, da cui poi sono stato radiato, forse per insufficiente capacità critica. Per cui un parziale risarcimento ora attribuito a “La notte ha la mia voce”, appena uscito, compare in forma semi-privata e destituita di ogni credito, come sono queste mie noterelle marginali. In quell’altro romanzo la Sarchi non si liberava da qualche residua traccia di verismo addirittura alla Verga, facendo giganteggiare la figura di un “padre padrone”, feroce possidente di “roba” e pronto a imporre una specie di “ius primae noctis” alle serve extra-comunitarie assunte a vario titolo nella sua fattoria. Contro di lui risultavano impotenti le mosse intraprese da personaggi più sensibili ai nuovi valori, un garzoncello non certo “scherzoso” che voleva impedire al Mastro Don Gesualdo reincarnato di abbattere alberi a suo piacere, fino a meritare la morte nella riedizione di un duello rusticano in salsa non molto mutata rispetto al vecchio copione. E impotenti erano pure due coniugi intellettuali che a loro volta cercavano di trovare ospitalità presso quel brutale colono, tentando anche loro di portarlo a una condotta più ligia ai parametri della nostra civiltà.
Tutto cambia in questo nuovo romanzo, a cui posso dare un secondo “neo”, riportarlo nell’alveo di un neo-nerorealismo, così come Standard and Poor potrebbe rialzare le quotazioni dell’economia di un Paese. Ora siamo in piena attualità, come del resto è ribadito dal fatto stesso che la protagonista ci parla in prima persona, così da simulare una sorta di autonarrazione, come è di moda al giorno d’oggi. E anche l’incidente di cui resta vittima è del tutto in linea con possibili accadimenti dei nostri tempi. Infatti le è capitato uno scontro in auto dai cui rottami è stata estratta, ma ormai paralizzata per sempre, dall’ombelico in giù. E il diario degli interventi cui viene sottoposta, con tutto il corredo di resoconti di operazioni estenuanti, di visite mediche in cui la paziente si sente ridotta a numero, a oggetto passivo, e la sofferenza di non poter più appoggiare i piedi a terra, di dover apprendere nuove, limitate possibilità di deambulazione, eccetera, tutto ciò è materiale fresco e apprezzabile. Viene in mente un caso analogo, anche se giocato su tutt’altro tavolo, della Parrella che forse non è mai stata così forte e toccante come quando ci ha narrato il dramma di una madre posta in vigile e spasmodica attesa accanto a una incubatrice in cui se ne sta un figlioletto nato prematuro. Così concentrata com’è sulla propria sorte, la protagonista trascura troppo di dirci in quale modo riesce a comportarsi verso un compagno e una figlia, che pure non l’hanno abbandonata al suo triste destino. Peccato, perché alla lunga il minuzioso diario di sofferenze, cure asfissianti, visite mediche che prendono anche il tono di una sopraffazione sessuale, rischia di stancare il lettore. Se ne avvede anche l’autrice, che capisce di non poter continuare sul medesimo tono. Bisogna mettere in gioco un diversivo, e ci riesce abbastanza bene, nella persona di una compagna di sventura, anche lei con gli arti immobilizzati, l’uno addirittura amputato, l’altro sostituito da una protesi artificiale. Ma per fortuna Giovanna è l’opposto della protagonista, per parte sua fin troppo sensibile e raffinata, che infatti deve ammettere di essere una “intellettuale”, con la pubblicazione di qualche libro alle sue spalle. L’altra invece è di bassa cultura, viene fuori dal popolo, ma è sanguigna e autoritaria, tanto da meritare il soprannome di Donnagatto, per la sua abilità nello scivolare tra i guai della vita e nel rovesciarli a suo favore. Inoltre, altra invenzione positiva, la nostra Donnagatto, per arrotondare il magro mensile che le viene dalla assicurazione, lavora in un call center, amministra un “telefono amico” dedito alla causa dei solitari affettivi. Col nome di Veronica, sollecita i loro istinti erotici, così anche soddisfacendo quella vita sessuale cui la sua stessa disgrazie non le consentirebbe di dare un giusto compimento. E l’amica del cuore le sta accanto, partecipa anche lei a quelle immaginarie avventure sessuali. Ma poi la nostra autrice non sa come saltar fuori dalla trama che pure ha abilmente impostato. La Donnagatto a un tratto scompare, forse dandosi a un nomadismo libertino e licenzioso quale è sempre stato nel suo carattere di fondo, e dunque la persona che si confessa deve riprendere a tessere il suo “cahier des doléances”, ma quando ormai tutte le corde sono state pizzicate e non resta molto da aggiungere.
Alessandra Sarchi, La notte ha la mia voce. Einaudi stile libero, pp.165, euro 16,50.
Non ero stato molto favorevole, nel giudicare l’”opera prima” di Alessandra Sarchi, “La violazione”, del 2012, affidando la mia recensione alle pagine dell’autorevole ”Tuttolibri” della “Stampa”, da cui poi sono stato radiato, forse per insufficiente capacità critica. Per cui un parziale risarcimento ora attribuito a “La notte ha la mia voce”, appena uscito, compare in forma semi-privata e destituita di ogni credito, come sono queste mie noterelle marginali. In quell’altro romanzo la Sarchi non si liberava da qualche residua traccia di verismo addirittura alla Verga, facendo giganteggiare la figura di un “padre padrone”, feroce possidente di “roba” e pronto a imporre una specie di “ius primae noctis” alle serve extra-comunitarie assunte a vario titolo nella sua fattoria. Contro di lui risultavano impotenti le mosse intraprese da personaggi più sensibili ai nuovi valori, un garzoncello non certo “scherzoso” che voleva impedire al Mastro Don Gesualdo reincarnato di abbattere alberi a suo piacere, fino a meritare la morte nella riedizione di un duello rusticano in salsa non molto mutata rispetto al vecchio copione. E impotenti erano pure due coniugi intellettuali che a loro volta cercavano di trovare ospitalità presso quel brutale colono, tentando anche loro di portarlo a una condotta più ligia ai parametri della nostra civiltà.
Tutto cambia in questo nuovo romanzo, a cui posso dare un secondo “neo”, riportarlo nell’alveo di un neo-nerorealismo, così come Standard and Poor potrebbe rialzare le quotazioni dell’economia di un Paese. Ora siamo in piena attualità, come del resto è ribadito dal fatto stesso che la protagonista ci parla in prima persona, così da simulare una sorta di autonarrazione, come è di moda al giorno d’oggi. E anche l’incidente di cui resta vittima è del tutto in linea con possibili accadimenti dei nostri tempi. Infatti le è capitato uno scontro in auto dai cui rottami è stata estratta, ma ormai paralizzata per sempre, dall’ombelico in giù. E il diario degli interventi cui viene sottoposta, con tutto il corredo di resoconti di operazioni estenuanti, di visite mediche in cui la paziente si sente ridotta a numero, a oggetto passivo, e la sofferenza di non poter più appoggiare i piedi a terra, di dover apprendere nuove, limitate possibilità di deambulazione, eccetera, tutto ciò è materiale fresco e apprezzabile. Viene in mente un caso analogo, anche se giocato su tutt’altro tavolo, della Parrella che forse non è mai stata così forte e toccante come quando ci ha narrato il dramma di una madre posta in vigile e spasmodica attesa accanto a una incubatrice in cui se ne sta un figlioletto nato prematuro. Così concentrata com’è sulla propria sorte, la protagonista trascura troppo di dirci in quale modo riesce a comportarsi verso un compagno e una figlia, che pure non l’hanno abbandonata al suo triste destino. Peccato, perché alla lunga il minuzioso diario di sofferenze, cure asfissianti, visite mediche che prendono anche il tono di una sopraffazione sessuale, rischia di stancare il lettore. Se ne avvede anche l’autrice, che capisce di non poter continuare sul medesimo tono. Bisogna mettere in gioco un diversivo, e ci riesce abbastanza bene, nella persona di una compagna di sventura, anche lei con gli arti immobilizzati, l’uno addirittura amputato, l’altro sostituito da una protesi artificiale. Ma per fortuna Giovanna è l’opposto della protagonista, per parte sua fin troppo sensibile e raffinata, che infatti deve ammettere di essere una “intellettuale”, con la pubblicazione di qualche libro alle sue spalle. L’altra invece è di bassa cultura, viene fuori dal popolo, ma è sanguigna e autoritaria, tanto da meritare il soprannome di Donnagatto, per la sua abilità nello scivolare tra i guai della vita e nel rovesciarli a suo favore. Inoltre, altra invenzione positiva, la nostra Donnagatto, per arrotondare il magro mensile che le viene dalla assicurazione, lavora in un call center, amministra un “telefono amico” dedito alla causa dei solitari affettivi. Col nome di Veronica, sollecita i loro istinti erotici, così anche soddisfacendo quella vita sessuale cui la sua stessa disgrazie non le consentirebbe di dare un giusto compimento. E l’amica del cuore le sta accanto, partecipa anche lei a quelle immaginarie avventure sessuali. Ma poi la nostra autrice non sa come saltar fuori dalla trama che pure ha abilmente impostato. La Donnagatto a un tratto scompare, forse dandosi a un nomadismo libertino e licenzioso quale è sempre stato nel suo carattere di fondo, e dunque la persona che si confessa deve riprendere a tessere il suo “cahier des doléances”, ma quando ormai tutte le corde sono state pizzicate e non resta molto da aggiungere.
Alessandra Sarchi, La notte ha la mia voce. Einaudi stile libero, pp.165, euro 16,50.

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