Bologna si trova da tempo sotto una cattiva stella per quanto riguarda l’arte. L’attuale sindaco Lepore in precedenza, come assessore alla cultura, ha fatto ben poco su questo fronte. Ora speriamo che si riscatti e corra ai ripari, Siamo inferiori, a voler scavalcare l’Appennino, rispetto a Firenze, e anche a Genova, dove ogni volta che ho occasione di parlare, difendo la città dalla fama di avarizia, proclamando che la città avara su tutte è proprio Bologna, Parrebbe smentirmi il fatto che proprio in questi giorni alla Pinacoteca sia esposto un capolavoro inaudito, ilRitratto diGiulio IIdi Raffaello, Ma il merito non è della soprintendenza e del Comune, bensì della Fondazione Genus Bononiaie, il cui canto del cigno, sotto la direzione di Fabio Roversi Monaco, è stata la ricostituzione del Polittico Griffoni, capolavoro dell’arte ferrarese, che poi, imprestato alla National Gallery di Londra, ha meritato questo scambio di altissimo livello. Naturalmente, a conferma dello scarso credito che l’attività espositiva ha nella nostra città, Roversi Monaco è stato licenziato perché spendeva troppo nella sua azione. Bologna insomma è abbastanza convinta che con la cultura non si mangia. La Pinacoteca ha affiancato alcuni suoi dipinti di una stagione bolognese che, per carità, non è certo da disprezzare, fatta di opere bentivolesche, di una specie di alba di Rinascimento, quali i Francia e Costa, che si possono ammirare proprio nella cappella dei Bentivoglio attigua a S. Giacomo, compreso Amico Aspertini, che apre a un manierismo felsineo di impronta tedesca. E’ un insieme valido, su cui ho tentato più volte di far fare una mostra, anche come anello mancante prima che si apra la stagione dei Carracci, su cui certo, per merito di Gnudi, Bologna ha fatto il suo dovere in modo egregio. Ma il capolavoro raffaellesco spicca in assoluto isolamento in mezzo a questi dipinti, che sono tutti più indietro di un passo. Quello, per dirla col Vasari, è un capolavoro della terza maniera, detta anche dall’Aretino maniera moderna per eccellenza. Ed è stato suo merito distinguere quella fase, che abbiamo avuto solo noi in Italia, aperta da Leonardo, e appunto continuata da Giorgione e da Raffaello, senza nessuna corrispondenza nelle altre parti di Europa. Vero è che Vasari, come pittore in proprio, è stato del tutto inferiore a quella sua valida intuizione critica, puntando anche un po’ troppo su Michelangelo, che in definitiva di quella stagione è stato un deviatore, scavandosi una nicchia solitaria che quasi lo ha spinto fuori dalla storia. Per questa via si ritorna a un papa forte e volitivo proprio come Giulio II, che ha messo in croce il Buonarroti facendolo lavorare per anni a un suo monumento sepolcrale, mai terminato. Qui invece vediamo un Giulio II al tramonto, effigiato con un realismo che fa di Raffaello un anticipatore di tutti i grandi ritrattisti venuti nei secoli seguenti. Capace di darci un’immagine di toccante senilità, con quella barba che nel pontefice era un segno di rivincita, mentre qui determina un quadro di stanchezza, di decadenza, quasi di terza età, di povero pensionato che ha tirato i remi in barca. In quel giro di anni (secondo decennio del Cinquecento) forse soltanto Tiziano sarebbe stato in grado di competere con tanto spirito di aderenza, di umanità colta in fase calante. Con lo stesso verismo Raffaello ci ha dato anche l’immagine del successore, di Leone X, agli Uffizi, conferendo un uguale spessore umano a quel ritratto. Di questa straordinaria sensibilità raffaellesca non c’è traccia negli altri dipinti accumulati qui per l’occasione.
Il Rinascimento a Bologna, Pinacoteca, a cura di Mirell Cavalli e altri, fino al 1°gennaio 2023.