Mi valgo ancora una volta della facoltà di mettere al posto di un intervento su qualche romanzo l’analisi di un film, in nome dell’autorizzazione che ricavo da Aristotele, di considerare le opere narrate in terza persona simili nelle strutture a quelle gestite direttamente da attori, anche se ovviamente lo Stagirita pensava ai generi teatrali, del tutto ignaro dell’avvento del cinema e della televisione. “Il cattivo poeta”, regia di Gianluca Jodice, è un film di cui mi devo compiacere, perché contribuisce al rilancio della figura del Vate, come io stesso ho cercato di fare dedicandogli un saggio Mursia, rimesso a nuovo nei centocinquant’anni dalla nascita. Ovviamente, il “cattivo” poeta vuole solo essere una frase provocatoria, usata per ottenere un effetto opposto, per esaltare, benché con misura, le virtù di questa grande personalità. Altro aspetto da lodare è la recitazione di Sergio Castellito, che si sa calare perfettamente nella parte, a cominciare dalle sembianze, dall’invecchiamento del suo aspetto, ritrovando i meriti che si sono dovuti riconoscere a Pierfrancesco Favino nel suo calarsi nei panni sia di Craxi che del collaboratore di giustizia Buscetta. Qui però terminano gli aspetti positivi, mentre si può criticare il periodo della vita di D’Annunzio scelto dal regista, quegli anni finali di esistenza che lo mostrano ormai scarico di energie, sopravvissuto a se stesso, incapace di produrre testi, prigioniero della cocaina e del suo inesauribile sessismo, quel bisogno di coito che in lui. come è stato detto da un suo eccellente biografo, Piero Chiara, era quasi un’attività istituzionale, e anche la ragione dell’antipatia che gli hanno riservato in seguito gli scrittori italiani, invidiosi di quelle sue qualità, essendo in genere per conto loro alquanto scarsi in quel medesimo genere di prestazioni. Meglio sarebbe stato dedicare il film ai momenti di gloria dell’impresa di Fiume, qui ricordati solo a parole dalla Baccara, principale assistente del Poeta negli ultimi anni. Meglio ancora andare a sorprenderlo al momento della stesura del Notturno, massima sua prova letteraria, piena di implicazioni future. Ma certo rivolgersi a fasi così complesse, così movimentate, avrebbe causato notevoli difficoltà di realizzazione. C’era però la possibilità di valersi di un abile mix tra brani documentari e rifacimenti diretti. In quella fase tarda della sua esistenza, invece, D’Annunzio ha perso ogni carta, soprattutto di specie politica, si deve tristemente legare al carro mussoliniano, mettendo la sordina ai suoi indubbi lieviti di protesta, dato che, per la sua vita dispendiosa, ha bisogno delle risorse in denaro che il dittatore è pronto a fargli avere, per narcotizzarlo, per soffocare sul nascere ogni suo spirito oppositivo. Del resto, Mussolini diffida di quel personaggio provvisto di fascino proprio, e lo circonda da una rete di spie, di controllori, cui appartiene anche il numero due del film un bravo Francesco Patania, nella parte di un giovane appena promosso al rango di federale, ma con l’incarico spinoso di sorvegliare da vicino le mosse di quell’ostaggio di riguardo, tenendosi pronto a segnalare al ministro Starace ogni sentore di devianza. E di queste ce ne sono senza dubbio, si sa bene che il Vate è sempre stato convinto che fare l’alleanza con Hitler forse un errore fatale da parte del Duce, e tentò di dissuaderlo, ma con forze deboli, inefficaci. Eppure, se Mussolini non avesse acceduto a quella insana alleanza, forse sarebbe morto nel suo letto, come è avvenuto nel caso di Francisco Franco, e come ha ben ipotizzato, nel suo filone di romanzi di fantapolitica, un narratore dei nostri giorni quale Enrico Brizzi. Purtroppo il “cattivo poeta” nel film non riesce a farci giungere qualche prova delle sue eccellenti capacità di scritture, e tanto meno a fermare l’inesorabile e fatale alleanza tra i due dittatori.