Ieri, 31 ottobre, ho visitato la Quadriennale d’arte 2020, generosamente accolto da Maria Bonmassar che me ne ha facilitato la visita in tutti i modi, facendomi anche incontrare i due curatori, Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol. Ora tocca a me meritarmi tanto aiuto. Comincerò col dire che il Palaexpo supera magnificamente la prova, con un allestimento che riserva ai molti partecipanti ampie sale monografiche o a due piazze, ben distribuite sia al pianterreno che al primo piano. Rinnovo in merito la mia rampogna alla mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, dove per l’angustia delle sale al secondo piano si è presa la balorda iniziativa di capovolgere l’ordine cronologico del grande Sanzio mettendo in basso le opere finali, e di sopra quelle giovanili, senza neppure confessare questo banale accorgimento, mascherandolo invece, per iniziativa di un balordo curatore come un criterio legittimo e normalmente usato. Meglio era trasferire la mostra appunto al Palaexpo, che in definitiva non è certo meno nobile delle Scuderie, legittimate solo dalla vicinanza col Quirinale, per il resto nate come un angusto spazio di servizio. Ma fatto questo riconoscimento, ho parecchi dubbi da esprimere, soprattutto in merito ai fini istituzionali che un ente come la Quadriennale non dovrebbe dimenticare, evitando di trasformarsi in un palestra per esercizi più o meno ingegnosi dei curatori del giorno. A cominciare dai titoli assunti, che dovrebbero conformarsi a un qualche criterio oggettivo. Così non è, infatti si brandisce un “Fuori” come vademecum, mentre, l’ho appena detto, se la rassegna ha un pregio è proprio quello di adattarsi molto bene agli spazi di “dentro”. Per la stessa ragione sarebbero da evitare altre scelte troppo personalizzate, come quelle di porre tutta l’esposizione sotto titoli un po’ enigmatici e difficili da giustificare, o solo attraverso scommesse private e molto soggettive. Infatti si fa un po’ di fatica a decrittare termini enigmatici ed enfatici nello stesso tempo come “il Palazzo”, “il Desiderio”, “l’Incommensurabile”. Ma cominciamo davvero la visita, che risponde a un legittimo fine istituzionale quando dedica belle sale ad artisti di chiara fama defunti nell’intervallo, come Nanda Vigo, Giuseppe Chiari, Salvo, e per metà Angela Ricci Lucchi, ovviamente inseparabile dal compagno Yervant Gianikian che continua nella poetica della coppia. E giusti anche gli omaggi agli ancora sani e vegeti Sylvano Bussotti e al Castellucci della Societas Sanzio. Però l’opportunità di questi legittimi omaggi è messa a rischio dal fatto di collocarli in mezzo a prodotti più giovanili e ruspanti, in barba a un minimo di funzione didattica e di rispetto della storia. Poi vengono i recuperi di artisti che appartengono ormai alla generazione di mezzo e che hanno onorato il clima del ’68 e dintorni. Ho visto con molto piacere un ampio rotolo della coppia bolognese Cuoghi-Corsello, ho ammirato i progetti, finemente disegnati in punta di penna da Bruna Esposito, giusto anche l’omaggio alle prove gestuali di Simone Forti, eroina dei due mondi. Bene pure il recupero di Giuseppe Gabellone, da un oblio sceso su di lui dopo anni di pieno successo. Esprimo invece la più viva disapprovazione per il recupero, una volta di più di Monica Bonvicini, non so quante volte già comparsa alla Biennale, e qui presente con algide strutture luminescenti. Mi rendo conto che una difficoltà immanente su un simile tipo di manifestazione è l’impossibilità di rendere conto dei tanti eventi comparsi nel quadriennio, ma almeno un po’ di economia si potrebbe tentare di farla, per esempio raccordandosi col programma di un ente paritetico quale il PAC di Milano, dove in effetti negli ultimi tempi si sono viste mostre eccellenti di Eva Marisaldi, Luca Vitone, Cesare Viel, e dunque è legittimo averli trascurati nella presente rassegna, ma i curatori non sapevano che nel contenitore milanese inaugura tra poco una personale di Luisa Lambri? Un inserimento che di conseguenza poteva non essere indispensabile. Comunque ben venga, è presenza legittima. Poi, avanzando negli anni, ho visto con grande piacere la sala dedicata a Alessandro Pessoli, un baldo rinnovatore della pittura in tutte le sue forme, senza neppure evitare di darci ingegnose produzioni tridimensionali. Non per nulla in questo mio blog gli ho appena dedicato un pezzo. E non ho neppure esitato a invitare a manifestazioni da me curate Chiara Camoni e Valerio Nicolai. Poi ci sono altre presenze di oggi, che includono artisti senza un ragguardevole curriculum che li renda idonei a una selezione nazionale-istituzionale, e che dunque rispondono a scelte personali dei curatori, legittime se li avessero invitati a mostre locali senza pretese di pubblica rappresentatività, alquanto discutibili se invece vengono infilate in una rassegna portatrice di valenze pubbliche.
Quadriennale d’arte 2020, a cura di Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, Roma, Palaexpo, catalogo Treccani.