Devo al solito a una provvida segnalazione di “Artribune” l’aver appreso che un capolavoro di Nicolas Poussin, “Gente che balla”, verrà esposto alla National Gallery di Londra, assieme ad altre opere del grande artista ugualmente ispirate alla danza, provenienti dalla Wallace Collection. La contemplazione di quel dipinto mi consente di fare una ennesima applicazione del metodo a me caro delle omologie predicate da Lucien Goldmann, cioè del fatto che in una certa epoca alcuni operatori di campi diversi si incontrano senza saperlo nel ricorso a schemi molto simili, o addirittura identici. In questo caso l’omologia di base è tra due geni francesi, Poussin e il quasi coetaneo Cartesio (1594-1665 il primo, 1590-1650 il secondo). Dove sta la vicinanza? Poussin, nel dipinto in oggetto e negli altri che verranno esposti, applica a modo suo quel metodo geometrico, di fedeltà euclidea, che il filosofo predica come assunzione obbligatoria nei ragionamenti. Il tema di quella danza tra personaggi mitici è fatuo, disimpegnato come più non si può, ma si veda come braccia e gambe degli umani, e zampe dei cavalli, si industriano a disporsi a gomito, tracciando dei quasi prefetti angoli retti, contrariamente a quanto suggerirebbe il ritmo travolgente di una danza, che invece in questo caso diviene sincopata, parcellizzata, segmentata. Da qui l’alto destino poussiniano di correre in avanti nei secoli, fino quasi ad anticipare il cubismo del Novecento, o quanto meno la versione ancora fresca, intuitiva, non troppo ragionata, che ne avrebbe fornito Cézanne. Ma attenzione, dato che il maestro della Provenza è già stato da me usato per un’altra omologia, con riferimento alle primissime opere del pittore del Midi, per esempio lo straordinario “Déjeuner sur l’herbe”, dove i partecipanti si curvano per avvicinarsi a un desco, una tovaglia caratterizzata da uno schema elissoidale, con alcuni pomi al centro, nel che si può ravvisare un quasi perfetto modello di atomo, con la traiettoria periferica degli elettroni, e i protoni a fare massa al centro, come un microscopico sistema di rotazione planetaria. Fin dalle mie prime lezioni avevo dichiarato che il giovane Cézanne aveva avuto una precoce intuizione del campo elettromagnetico, cui poco tempo prima il grande scienziato Mawell aveva dato forma e numeri. Una mossa troppo avanzata, da cui poi Cézanne si era ritratto, ritrovando la lezione di Poussin, di procedere a frantumare la visione, a frangerla come i lati di un poliedro a mille facce. Devo ricordare che su questa strada avevo già posto il nostro Domenichino, nato tredici anni prima di Poussin, ma pure lui già pronto a geometrizzare la visione, con braccia e gambe poste in parallelo, abbandonando la rotondità propriamente barocca dei compagni di via nella scuola bolognese, Annibale e Guido Reni. Il razionalismo cartesiano era ormai immanente, faceva avvertire le prime avvisaglie.