Sempre dalla mia fonte principale di informazìone, Artforum, apprendo che nel prossimo ottobre al Musée Royal de Beaux Arts di Bruxelles si terrà una mostra sul quesito di quale sia stato il rapporto di Picasso con l’arte astratta. Pare che i curatori ammettano per primi che si è trattato di un rapporto ambiguo e incerto. Per quanto mio riguarda, ho sempre messo in dubbio l’uso di questa nozione per l’intera arte contemporanea, invitando a ritrovare l’origine etimologica del vocabolo, perché ci sia astrazione occorre la presenza di una qualche figura di cui appunto si astraggono, cioè si stilizzano i tratti essenziali, senza inventarli di sana pianta. In questo senso è stata astratta tutta una fase del contemporaneo corrispondente al Simbolismo di Gauguin, Nabis e compagni, mentre per gli esiti considerati astratti da Mondrian e altri sarebbe meglio parlare di arte concreta, che cioè prescinde da ogni riferimento o spunto tratto dalla realtà e introduce invece elementi “concreti”, dal repertorio delle forme geometriche che giace in ogni essere umano. Se si accetta questa nozione di arte concreta, essa non vale nel caso di Picasso, la cui arte ha sempre avuto bisogno di partire da elementi, figure, soggetti e spunti provvisti di qualche esistenza, praticando poi su di essi interventi dinamici, inventivi, indirizzati in tutti i sensi, volti a geometrizzarli, come nella fase cubista, o al contrario a recuperarli da antichi depositi, come è avvenuto nella sua fase anni Venti, Ma in genere PIcasso, dopo la fase eroica e sperimentale durata fino al 1930 circa, è divenuto un giocoliere spregiudicato, pronto a stilizzare, ma anche a prendere forme dalla realtà, sottoponendole a ogni possibile trasformazione. In proposito io ho utilizzato il vecchio titolo di Victor Hugo, Le rois’amuse, da cui il nostro Verdi ha tratto il Rigoletto. Da parte dell’artista catalano, nulla di tragico, ma appunto un gioco spinto, compiaciuto, sempre vario e imprevedibile negli esiti, magari anche con cadute nell’irrilevanza e nel cattivo giusto, come in tutta la produzione ceramica. E anche quello che pare il suo capolavoro assoluto, il massimo suo tributo ai nostri anni drammatici, Guernica, non è ben chiaro dove quelle sagome siano davvero tragiche, o non invece delle eleganti stilizzazioni, non troppo diverse da quelle che il grande artista eseguiva a scopo commerciale sulle ceramiche, o in una produzione comunque leggera. In Picasso, così, c’è da mettere in dubbio non solo il suo contributo alla causa dell’astrazione, ma anche quello ai drammi del nostro tempo. In lui la volontà di fare stile, di meravigliarci con le sue acrobazie grafiche e pittoriche, superava ogni possibile esito tragico o drammatico. Bisogna però riconoscergli appunto il merito di aver mantenuto aperta la via della sperimentazione, mentre tanti altri maestri del Novecento si sono bloccati in formule fisse, via via sempre più stanche e ripetitive. Un crimine che in lui non si è mai compiuto.