La Galleria dell’Umbria annuncia trionfalmente di essere ritornata in possesso di un capolavoro che le appartiene di diritto, trattandosi di una delle opere più note del Perugino, Lo sposalizio della vergine, resa celebre anche per la ripresa che ne fece pochi anni dopo l’allievo principale del maestro umbro, Raffaello, ancor prima di recarsi a Firenze e poi a Roma, dove finalmente gli riuscì di fare la sintesi delle due grandi lezioni di Leonardo e di Michelangelo, entrando a vele spiegate in quella che tanto giustamente Giorgio Vasari avrebbe denominato “maniera moderna”. Nel dipinto redatto sulle orme del maestro il grande Sanzio era ancora dentro la “seconda maniera”; quella che giustamente il Vasari non ha amato per niente, accanendosi proprio contro il Perugino, accusato di essersi dotati di sagome pe ricavare dipinti in serie, quasi dei multipli. L’autore delle Vite non è stato neppure equanime verso. un altro maestro, il Verucchio nei confronti di Leonardo. E’ interessante notare come il talento di Raffaello, nella ripresa dal maestro umbro, fosse già sulla via di prendere le distanze da lui. Lo si vede soprattutto nel tempio posto alle spalle del gruppo in primo piano. Nel Perugino è un fondale piatto, neppure provvisto di quel motivo arcuato a botte caro già all’Alberti, è un apparato pressoché bidimensionale che schiaccia la visione, le impedisce di allargarsi nello spazio. Mentre Raffaello sembra già avere avuto sentore del suo conterraneo, il grande Bramante, che seppe dare la rotazione alle planimetrie arcaiche, andando ben oltre la volta a botte, adottando invece l’emisfero, sul modello del Pantheon romano. Del resto, si dice che a convincere Giulio II a valersi dell’arte di Raffaello fosse stato, anni dopo, in nome di una contiguità territoriale, proprio il Bramante. Ma oltre a quel motivo già rotondeggiante che dà dinamismo alla composizione, anche le figure in primo piano, a differenza del dipinto peruginesco, accennano a mosse libere e disinvolte, non fanno cioè soltanto le belle statuine, come avveniva in tutti i protagonisti della seconda maniera, magari anche di più alto livello del Perugino, basti pensare alla Primavera del Botticelli. Infatti oltre ad affollare di figure umane il primo piano, Raffaello tenta di spostarne alcune a coprire nel segno della continuità proprio l’impettita astanza in primo piano, con qualche passo a coprire la lontananza della chiesa, altro indizio di voler muovere a una conquista dello spazio. Naturalmente, dopo Firenze, e arrivato a Roma, il genio del Sanzio saprà fare ben più risoluti passi in tutte queste direzioni, ma qui se ne colgono i primi segni, proprio se commisurati agli impacci e alla staticità di un artista “seconda maniera” come il Vannucci,