Letteratura

Patrignanelli: un mondo misterioso di adolescenti

Anche in questo agosto 2017 ho tenuto al Grand Hotel Savoia di Cortina d’Ampezzo una corta serie di incontri, rivolti più alla narrativa che all’arte, per rispetto a quanto quell’Hotel era stato negli anni ’80 e ’90, prima di una lunga interruzione che ha permesso ad altri di inserirsi, come, a lungo, i coniugi Cisnetto con una sorta di teatro-tenda, ora la “Montagna di libri”, gestita direttamente dal Comune. Ma questi continuatori in sostanza, a mio avviso, hanno dimenticato la nobile natura di piccola capitale culturale che Cortina era stata, avendo proprio nell’Hotel Savoia il prezioso salotto per quei riti, in cui officiavano Domenico Porzio, col suo mese Mondadori a Cortina, e Giancarlo Vigorelli, chiamato a presentare a turno gli aspiranti al Premio Campiello. Purtroppo ora Cortina ha sostituito al ricordo di quegli eventi molto significativi un facile ricorso ai divi della televisione, con un Bruno Vespa che domina sovrano, non capendo che poi il divo della Tv è chiamato da qualunque altro centro turistico, e dunque non conferma una tradizione ma anzi la nega alle radici. Io invece, intendendo proprio rispettare una simile tradizione, ho ricordato una serie di grandi narratori che in questo luogo hanno soggiornato, traendone anche spunti per la loro opera. L’elenco è stupefacente, comprende Hemingway, Moravia, Comisso, Parise, e, quest’anno, la squisita Gianna Manzini, la nostra migliore scrittrice del primo Novecento, assieme a Elsa Morante. Ma siccome non mi voglio certo ingessare nel culto del passato, ogni anno propongo anche baldi rappresentanti dell’attualità, come per esempio, quest’anno, Roberto Pazzi col suo “Lazzaro”, e Gabriele Pedullà con “Lame”, opere che hanno riportato il meritato successo sulla stampa migliore, ma mi spingo anche avanti, sfruttando le preziose indicazioni che vengono dal Premio Calvino, di cui si devono pure ricordare i legami con Cortina, visto che la fondatrice Delia Frigessi, nell’86, e il grande storico dell’arte Enrico Castelnuovo, suo marito, oltre a esserne stati in successione i presidenti, hanno soggiornato a lungo nella capitale delle Dolomiti, cosa di cui questa località, insensibile e incurante dei suoi titoli di merito, si è del tutto scordata. Si sa che il Calvino propone romanzi inediti di giovani autori, vi avevo già fatto ricorso presentando un vincitore del passato, Cazzaniga. Quest’anno ho rivolto l’invito a una scrittrice entrata nella terna finale, Serena Patrignanelli, autrice di un romanzo che a mio avviso ha titoli di merito superiori a tante opere entrate nelle due cinquine privilegiate dello Strega e del Campiello. Il titolo di questo voluminoso inedito, di circa 400 pagine, “La fine dell’estate”, può trarre in inganno, facendo pensare a un romanzo di iniziazione adolescenziale nel clima affettuoso di una vacanza nell’agio, nel conforto di genitori magari temuti ma comunque vigili e presenti. Qui invece siamo invitati a seguire le imprese di un gruppo di ragazzini che intendono fare da sé, protesi a concepire un’avventura decisamente impossibile, come quella di rimettere in moto un’auto sgangherata, ritrovandone i pezzi mancanti e cercando un insolito mezzo di locomozione, la legna. I capofila di questa impresa assurda sono Augusto e Pietro, ma subito attorniati da tanti compagni e compagne di vie, infatti il romanzo è decisamente corale. Fin qui, però, non è ancora comparso il tratto differenziale rispetto a comuni storie di adolescenza, questo sta nella decisione della banda di minorenni di “fare da sé”, prendendo le distanze dal mondo dei grandi, fino a costituire una consorteria autonoma, anarchica. Per agevolare un simile clima di straniamento l’autrice, molto opportunamente, rende irriconoscibili i dati cronologici e ambientali della vicenda. Dove siamo, e soprattutto che cosa succede, in quella borgata sperduta? Chi sono i militari che intervengono fino a fare retate degli adulti, e da quale armata provengono gli aerei che bombardano il borgo selvaggio? Da cui del resto la componente maschile dei padri se n’è andata, forse morta. Un tipico episodio per indicare questo clima di autosufficienza dei nostri ragazzini viene dalla principale protagonista al femminile, portatrice del nome pomposo di Semiramide, la quale riceve un telegramma annunciante la morte del padre, ma non ne dà comunicazione né alla madre né alla sorella. Perché quel silenzio, per risparmiare loro un dolore? Niente affatto, è per cancellare la presenza comunque inopportuna del genitore, vivo o morto che sia, e in modo simile si comportano tutti gli altri membri di questo sodalizio, orgoglioso di fare da sé, di spartire il poco cibo, le scarse risorse, ma affidandosi a una ferrea solidarietà schierata contro i “grandi”, di cui pare lecito, o addirittura doveroso, diffidare. A questo modo la nostra Patrignanelli si allontana da un piatto realismo per conferire a tutte queste vicende una tonalità “magica”, dove i fatti, gli oggetti, le circostanze, pur narrati con prosa nuda e di totale evidenza, assumono un carattere “autre”, di sottile straniamento. Crediamo di assistere a scene di comune prosaicità, ma invece scopriamo indici di irrealtà penetrante, siamo trasportati quasi in una dimensione onirica, che si espande a investire mille minuti fatterelli che si accumulano, soprattutto nelle stanze, case, casupole, baracche che i nostri “indiani” occupano, sempre attenti a fare a meno di aiuti esterni, quasi protesi a tessere una tela di ragni industriosi. E quando poi l’estate annuncia la sua fine, per loro non ci sarà un ritorno alla scuola, a incombenze normali, confortanti, bensì la fuga verso un destino che beninteso si annuncia più che mai alieno e misterioso.

Standard