Per prima cosa mi devo scusare con la Pinacoteca nazionale di Bologna e con la sua direttrice per un abbaglio preso nel blog della settimana scorsa, dedicato alla presenza eccezionale in quella sede del Ritratto di GiulioII di Raffaello. Da qualche parte, non me lo sono certo inventato, avevo letto che era l’esito di uno scambio col Polittico Griffoni andato alla National Gallery di Londra, che appunto in conseguenza ci aveva dato il capolavoro raffaellesco. Notizia infondata, in quanto lo scambio era avvenuto con l’unico Raffello in possesso di Bologna, la S. Cecilia. Ma, confessato questo errore, sarei pronto a difendere quanto dicevo in quel brano, soprattutto con riferimento all’attuale penuria di mostre di cui è vittima il capoluogo petroniano per l’incuria degli ultimi due sindaci. Ora, sperando di non incorrere di nuovo in qualche passo falso, mi sento di parlare della mostra che il Museo civico di Treviso dedica ora a un suo figlio, Paris Bordon (1500-1571), peraltro presto trasmigrato a Venezia e lì schiacciato dalla presenza incombente di Tiziano, anche se il Vasari, quando nella seconda edizione delle Viteaveva deciso di gettare un’occhiata anche in Laguna, lo aveva abbastanza lodato. Ma il suo è un caso tipico di mancato allineamento ai caratteri generazionali. Basti pensare che un suo coetaneo quale Giulio Romano era riuscito a reagire al rischio di venire schiacciato dal grande Sanzio intraprendendo la via del Manierismo. Avrebbe potuto farlo anche Bordon, magari protendendosi in avanti fino ad anticipare il Tintoretto, ma invece ha cercato di trovare scampo dall’incombente presenza del Vecellio calcando sull’adipe delle figure, arrotondandole oltre la carnosità di cui con mano maestra, ma anche con osservanza del senso della misura sapeva dotarle appunto Tiziano, E manca pure l’eroismo di quella fase finale del genio cadorino quando le carni si stracciano, esplodono quasi fuori dalle loro anatomie. Sembra invece che Bordon insista fino alla fine nel gonfiarle, per così dire, a canotto, quasi in un trattamento forzato di bellezza. Un altro suo punto di fuga poteva essere costituito dal Veronese, e infatti talvolta si protende in quella direzione riempiendo la scena con visioni architettoniche, ma senza saper riempire in misura adeguata lo spazio con presenza di convitati e banchettanti. In fondo, il suo meglio è quando sorprende da vicinio i protagonisti dei suoi dipinti, spingendoli a riempire ad oltranza il riquadro, fino quasi a raggiungere un sapore ottocentesco di languido sensualismo, vedi per esempio Gli amanti veneziani,un dipinto che sfiora quali il kitsch, il che dopotutto è una nota positiva ascrivibile a suo merito, anche perché quella grazia un po’ leziosa, e sostenuta da un pieno sfoggio di pienezza corporale, non trova seguito nei veneziani che gli succedono negli anni.
Paris Bordon, Museo civico di Treviso.