Letteratura

Panza e Piranesi

Pierluigi Panza e Piranesi

Pierluigi Panza è un fertile poligrafo che col tempo è divenuto una vera e propri colonna portante del “Corriere della sera” in cui scrive d’arte e di letteratura, come del resto fa  nella sua officina personale, avendo al suo attivo parecchi romanzi, anche a tema storico o biografico. Ricordo, proprio nel centenario di Raffaello, una sua puntuale ed esauriente Fornarina che tutto ci dice sull’amante del divino artefice. Ma in arte il suo cavallo di battaglia è stato Piranesi, cui s è avvicinato per gradi. Mi pare di ricordare che ne ha tracciato l’intera bibliografia  rovistando nelle principali biblioteche ambrosiane, ma tenendosi per così dire l’ultima cartuccia di riserva, ora infine la spara dedicando agli scritti del genio veneziano un intero volume, offrendo una preziosa introduzione a ognuno dei capitoli stesi dal grande architetto. Che per dirla in sintesi è stato l’antistrofe, l’oppositore di Winckelmann, nonostante gli anni che quasi condividevano, il tedesco essendo nato il 1717 e deceduto nel 1781, l’altro avendogli fatto seguito di pochi anni nella nascita, 1720 e pochi anni dopo l’altro nel decesso 1788. Ma Winckelmann  è stato il difensore a oltranza del primato dei Greci, il che me lo ha fatto detestare, forse per un mio istinto che mi porta a preferire quanto sa di trasgressione. La classicità greca mi sembra appunto un po’ troppo … classica, con quelle statue tutte perfette ma frigide, prive di palpiti emotivi, caso mai per trovare qualche traccia espressiva bisogna affrettarsi a immergersi nell’ellenismo, che  come tutti gli “ismi” segna una fase di eccesso, di sregolatezza. E Piranesi trova  con abbondanza questi caratteri nell’architettura dei Romani, di cui è stato il difensore d’ufficio, accettandone soltanto una derivazione dagli Etruschi, che era comunque un modo per rimanere pur sempre in ambito italico, respingendo la tesi conformista  che i Romani avrebbero “rubato” ogni eleganza dalla controparte di là dall’Egeo. Panza  non esita a collegare questa autonomia dell’architettura romana all’autorità del Vico, anche lui difensore a oltranza di una nostra sapienza primitiva. Da qui la cura con cui il Piranesi delle rovine romane indaga sulla maestosità pesantezza e rude materialità dei blocchi marmorei o di altro materiale duri che entravano nelle costruzioni romane, contro l’esilità certo elegante ma fragile della controparte greca. La sua in qualche misura era una missione sacra, di rivendicare una genealogia nostrana, anche se nutrita degli apporti misteriosi della civiltà etrusca, anch’essa proveniente di là dal mare, ma da una direzione sconosciuta ai Greci. E anche le carceri  piranesiane sono da vedere come un omaggio a questo fare nudo, ma brutale, immerso in tenebre provvidenziali. Non è tutto, in quanto i Greci predicavano pure un procedere casto e puro, che relegava la decorazione a un  ruolo minore, mentre Piranesi, con la sua arte dei camini, eleva un inno alla ibridazione, all’incrocio degli stili, in definitiva riconoscendo l’obbligo  di far entrare negli edifici la decorazione. Pare quasi che egli intuisse che prima o poi sarebbe arrivata in scena l’insostenibile condanna dell’ornamento, pronunciata dal Loos, in nome del razionalismo moderno, ma in realtà potremmo dire che Piranesi a modo su era già un profeta del postmoderno da mettere in squadra con Fuseili, Blake e altri di quei misteriosi protagonisti che io ho messo sotto il segno di un’Alba del contemporaneo. Non si confondano le etichette, da Winckelmann viene un neoclassicismo che è il canto del cigno dell’età  moderna, con le sue un po’ vacue eleganze, simmetrie, regolarità. Mentre Piranesi, assieme agli spiriti a lui affini, guarda più lontano, è ancora con noi, come dimostra l’intrepida attenzione che Panza non si  è mai stancato di attribuirgli.

Pierluigi Panza, Piranesi gli scritti, Electa, pp. 288, euro 28.

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