Pierluigi Panza è uno straordinario poligrafo che il vasto pubblico incontra quasi ogni giorno per i suoi resoconti sempre puntuali sulle pagine culturali del “Corriere della sera”, dove però è costretto a una certa neutralità di giudizio, come si conviene a un buon giornalista.
Ma poi sa sviluppare una intensa attività in proprio che si esplica in due direzioni, una di carattere storico, con riferimento soprattutto a temi di architettura, una materia di cui è anche docente universitario. Tipico in questo senso il suo “Orientalismi”, dove analizza le molte facce secondo cui il nostro Occidente ha subito il fascino di quanto gli è venuto dall’Est. Nella stessa direzione ora, nelle sale della Biblioteca Braidense a Milano, si può ammirare, da lui curata, una perfetta ricostruzione dei molti legami che la città ambrosiana ha avuto nei confronti dell’Egitto, piramidi, geroglifici, miti, leggende. Ma da questo solido background di storia Panza trae pure gli spunti per creazioni narrative, dove i dati di carattere filologico innescano audaci scorribande capaci di invadere il romanzesco allo stato puro, tipico in tal senso il saggio dedicato alla figura geniale di Piranesi. Una divaricazione oggi molto importante è quella che distingue tra una New italian epic o invece un Italian new realism, ebbene, Panza sa conciliare i due corni del dilemma, come ha dimostrato col “Digiuno dell’anima”, del 2007, dove i casi drammatici dell’anoressia che tanto affligge i destini femminili contemporanei sono stati posto in contatto coi digiuni mistici di S. Caterina da Siena. Insomma, al Nostro piacciono le soluzioni- ponte, come appare eloquentemente nell’ultima sua creazione, “L’inventore della dimenticanza”, dove sono narrate le vicende di un tale Adam Brux, non è ben chiaro se realmente esistito, scovato dall’Autore in qualche remoto tomo polveroso, o se invece creatura di pura invenzione, ma capace di districarsi tra mille luoghi e situazioni in una fosca Germania costretta alla fame, sottoposta a stragi per i conflitti di religione tra cattolici e riformati, nella lunga e disastrosa Guerra dei Trent’anni. L’abile stratagemma narrativo adottato da Panza sta in una struttura a chiasmo, per cui Brux rimbalza da una situazione di luogo e di anni, a un’altra, successiva, dandoci quasi in contemporanea uno stato di partenza e uno di arrivo. Anzi, partiamo proprio da una fase terminale, in cui Brux è giunto a Dresda, nel 1631, ma in panni cenciosi, presentandosi come un vecchio afflitto da malanni, e soprattutto da perdita della memoria. Poi la scena cambia, indietreggia fino a Halle, 1609, quando Brux è pieno di belle speranze, da genio dalle mille trovate. Infatti il narratore gli affibbia mille invenzioni ingegnose e godibili, come per esempio certe tecniche raffinate per fare la raccolta del sale, ricorrendo addirittura alla rugiada. Si potrebbe obiettare che per questa via Panza si trova a ricalcare quanto già fatto dal collettivo bolognese che si presenta sotto il nome di Wu Ming, ma, parlando di loro, mi è già capitato di dire che sminuzzano un po’ troppo il segmento di storia che affrontano, con comparsa troppo rapida e sommaria dei loro personaggi, mentre il nostro Brux fa a tempo a prendere consistenza, nelle varie stazioni occupate, con una piacevole immersione anche in un contesto materiale di cibi, mangiate, bevute. Intanto, si manifesta il suo proposito essenziale, che è di andare contro un idolo del suo tempo, proteso alla ricerca di modalità per fissare la memoria delle cose. Brux invece si mette risolutamente contro una finalità del genere, il suo fine è di farci dimenticare il presente, foriero di tanti guai e miserie. Tra le esilaranti trovate del nostro inventore compare anche l’idea di produrre il “fumo dell’oblio” e di procedere a imbottigliarlo. Questo è anche il tratto più originale della procedura di Panza, fondere le ipotesi di carattere mentale-filosofico con una solida base di concretezza spicciola.
Viene insomma tratteggiata una simpatica e affascinante figura di stregone, di mago sempre in bilico tra il rigore e la ciarlataneria, il che però lo rende sospetto e lo obbliga a una fuga incessante, da qui i salti di luogo e di anni, con il personaggio che procede verso la sua tappa finale, passando per tante città tedesche, Halle. Kassel, e per tante corti, mescolando i suoi casi a numerosi filoni della storia, fino a ritrovarsi, come già detto, in quello stato finale, dove qualcuno ne tenta la soppressione. Infatti il tutto è sotteso da una trama ideologica. Chi vuole salvare la memoria, sono i protestanti, mentre i cattolici sarebbero più favorevoli a farci affondare in una serena dimenticanza. Ne viene insomma un messaggio contro la civiltà dei computer e della memoria artificiale, ma, va ripetuto, la trama ideologica è ad ogni passo ben sorretta da una abbondante gratificazione dei sensi.
Bompiani, pp. 249, euro 17.