Cento giustamente festeggia la riapertura del Museo dedicato al suo figlio maggiore, il Guercino, dopo che il terremoto di qualche temo fa lo aveva guastato. Io avrei dovuto recarmi in devoto pellegrinaggio sul luogo, ma le mie pessime condizioni di deambulazione non me lo consentono. Il Barbieri è stato a lungo il miglior erede della linea di sinistra dei Carracci, allevo per sua scelta di Ludovico, e non di Annibale, o meglio di entrambi i Bolognesi quando procedevano di conserva nei Palazzi Bolognesi. Lo si vede soprattutto nei paesaggi del Guercino che mantengono una buona vicinanza con un mondo contadino, del tutto immemori della svolta verso un riscoperto classicismo che Annibale seppe dargli. Questo non toglie che anche il Guercino seguisse la spinta generale verso Roma, facile per artisti emiliani in quanto erano sudditi della Chiesa di Roma. E proprio nella capitale dei Papi riuscì al nostro artista di realizzare il suo capolavoro supremo, l’Aurora, ancora visibile nella sede dei nobili Ludovisi., ovviamente da mettere subito a confronto con l’analogo tema svolto un po’ prima da Guido Reni, in cui quest’ultimo ci mise tutto il suo senso di euritmia, di balletto, bisognoso quindi di persone pronte a danzare per festeggiare quell’ora magica del giorno. Invece nell’opera rivale del Guercino non domina certo la presenza umana, bensì quella dei cavalli, robusti, con belle chiazze, provenienti proprio da quella realtà dei campi, di animali che tiranano l’aratro, e tutto il contesto è improntato al medesimo impegno severo, quasi di specie realistica, quasi in un costeggiamento dello stile caravaggesco. Il Barbieri è grande anche quando realizza una tela famosa, Et in Arcadia ego, dove domina soprattutto quel teschio, imponente, quasi come un natura morta, ma forse dotato di un potenziale ancor più vigoroso e dinamico. E così via, il Guercino coltiva a lungo la sua variante di sinistra. Ma poi, verso la metà del Seicento, capisce anche lui che quella scelta stilistica ha fatto il suo tempo, è ora di tirare i remi in barca, di addolcire le asprezze del linguaggio, di renderlo più rotondo, smussato, di acquisire insomma qualche dose di classicità, come del resto fa pure il Ribera, lo Spagnoletto. Diciamo pure che verso la metà del scolo la linea realista, caravaggesca, nelle sue varie versioni, ha fatto il suo tempo, dalla vicina Francia sta per condurre i giochi Poussin, preceduto presso di noi proprio dalle eleganze sciolte del Reni o dal linguaggio squadrato del Domenichino. La pur ampia selezione guercinesca di cui si può vantare il museo della sua città natale non può documentare tutto ciò.