Il solito mio informatore, “Artribune”, mi apprende che il centenario di Roy Liechtenstein sarà celebrato a Parma, Palazzo Tarasconi, dal prossimo 11 febbraio. Tra le tante immagini delle opere in mostra, fin troppo note, tanto che mi sarei guardato bene dal dedicargli un po’ di attenzione, c’è pure l’immagine di una stanza spoglia e nuda, simile a un manifesto pubblicitario volto a proporre un arredo comune, veramente di gusto Pop. L’occasione mi invita a parlare un poco del mio recente saggio, Protagonisti dedicato, come non dice il titolo laconico, ai grandi artisti all’opera oggi, per i quali ho dovuto escogitare una formula adatta, non potendo continuare a giocare tra i due estremi del chiuso e dell’aperto, proposti a suo tempo dal Woelfflin, L’aperto, cioè una disponibilità a far presa sull’attualità, poteva venirci proprio dai campioni della Pop, da Liechtenstein e compagni fino ai massimi aperturisti della congiuntura del ’68. Ma poi, vi ho insistito perfino troppo, è venuta la chiusura, il ritorno al passato dell’intera situazione anni ’70, col recupero del museo, da Paolini al duo Ontani-Salvo, eccetera. Come andare oltre quella accoppiata di valori contrastanti? Nel saggio in questione ho pensato di fare ricorso allo schema ternario proposto dal pur da me assai poco amato Hegel, c’è però del buono nella sua terna, che dopo il contrasto tra tesi e antitesi pone l’avvento di un tertium, cioè di un tentativo di sintesi. E gli autori da me esaminati in quel saggetto tentano appunto di congiungere i due estremi opposti, ritornando, se si vuole, a una certa banalità del quotidiano, ma dotandolo anche di valori accessoriati, cioè di optional, magari anche di cattivo gusto, per cui siamo proprio al trionfo del kitsch, ma in qualche misura voluto, programmato. Ed ecco, tra questi Protagonisti, il caso eminente di David Hockney, che non ci darebbe mai un ambiente così nudo e squallido cone quello proposto da Liechtenstein, si sarebbe sentito tenuto a metterci qualche vaso di fiori, e a dare agli abitanti qualche vezzo nel loro abbigliamento, raggiungendo un vertice di personalismo, ma pur sempre nel nome del banale e del quotidiano. Si veda per esempio una sua serie di ritratti in cui dominano i rigatini degli abiti, o i blue jeans, o le scarpette vezzose protese in avanti, nonché le sedie in cui questi degni rappresentanti del nostro oggi affondano, Né Lichtenstein, né Warhol si sarebbero prodotti in uno scenario a un tempo così nudo e degradato, ma anche così impreziosito da scatti verso un tocco di estro e di personalismo. Ebbene, sta proprio qui la terza via di cui ho parlato nel mio saggio.