Questa volta l’ormai tradizionale visita virtuale della domenica va a Catania, Fondazione Puglisi Cosentino, dove è esposta una sfilata di opere di Ugo Nespolo (1941), artista che peraltro seguo con amicizia e consenso da ormai mezzo secolo, da quando alla metà dei Sessanta, in una Torino quanto mai vivace e piena di presentimenti, che si preparava ad aprirsi allo spirito Pop, o addirittura al “concettuale”, preparando così un humus in cui tra breve sarebbe sorta l’Arte povera. Gli erano al fianco Pistoletto, Gilardi, Mondino, tra i quali solo il primo sarebbe stato pronto a cavalcare il poverismo, mentre gli altri se ne ritrassero. Nespolo in quel momento marciava con grande ardore sperimentale. Mentre pigio sui tasti del computer ho davanti agli occhi una sua opera di quegli anni che sta a indicare la sua adesione al duchampismo, ma è anche un preludio delle opzioni future. Infatti sono tre blocchetti lignei coperti di scrittura, in cui è l’annuncio dello spirito combinatorio-associativo destinato a divenire la cifra dominante adottata in seguito da Nespolo e mai smentita, ma quei dadi sono tenuti insieme da un rozzo e brutale morsetto metallico, secondo la nudità propria del ready-made, In seguito Nespolo ha avuto una evoluzione in senso contrario al poverismo che si sarebbe insediato nella città sabauda, imbracciando invece una tendenza oppositiva, e contribuendo a farmi accarezzare l’idea di contrapporre al “povero” in via di affermazione il suo esatto contrario, una oscillazione pendolare verso il “ricco”, secondo la fiducia nell’inevitabilità dei ritmi alterni che mi ha sempre caratterizzato. Credo che proprio in dialogo con lui sia nata l’idea di abbracciare il concetto della “Ripetizione differente”, ovvero del culto, della “ripetizione” del passato, pur di nutrire la consapevolezza che non si può mai riprendere il passato secondo la modalità del “tale e quale”, ma occorre introdurre un indice di straniamento, di distacco dalla copia pura e semplice. Poco dopo, 1974, veniva la mostra proprio intitolata a quel modo, “La ripetizione differente”, che Giorgio Marconi ospitava nella sua galleria milanese, accettando poi, appena due anni fa, la mia richiesta di riproporla. E beninteso Nespolo fu presente, in quella iniziativa, con la soluzione cui era ormai giunto in misura stabile. Il suo recupero dal passato andava alla tecnica musiva, cioè all’idea che l’immagine potesse nascere dall’incastro di tanti pezzi staccati, così da dover parlare, più propriamente, di un rilancio delle tarsie lignee, o in alabastro, o in tanti altri materiali pregiati, Naturalmente doveva pur inserirsi, anche nel caso di Nespolo, il connotato della differenza, e dunque la sua pratica prevedeva che le “tessere” fossero fatte di materiali in linea con la tecnologia dei nostri giorni, e che le forme risultanti si ispirassero a stereotipi, miti, figure dell’attualità. Ma soprattutto, quello che contava era il rinunciare alla profondità spaziale, l’allineare le piastrelle, celebrando il ritorno alla “flatness” proprio di tutte le procedure dell’arte di specie “primitiva”, o pre-moderna. Nespolo insomma portava un contributo decisivo al grande arco storico che si stava disegnando dal pre- al post-moderno, anche sotto gli autorevoli auspici del da me sempre amato McLuhan, cui si deve la geniale intuizione che i pixel del linguaggio televisivo, o dell’elettronica in genere, sono appunto consustanziali rispetto alle tessere musive, e ci sta pure in mezzo il passaggio attraverso il divisionismo di Seurat. Il mosaico medievale risorge insomma, prima, nel retino fotolitografico, poi nella danza dei pixel tipici del nostro universo, Starà poi agli artisti decidere se celebrare il “puntino”, alla maniera di Lichtenstein, o dare invece una qualche estensione all’unità spezzata, secondo la modalità cara a Nespolo. Ma il principio è lo stesso, e tanto peggio per i critici che magari celebrano l’artista statunitense e gettano pietre contro il suo equivalente nostrano, Ma in definitiva uguale in entrambi i casi è l’abbondanza con cui hanno fatto ricorso a un simile accorgimento, che gli ha concesso di valersi come di uno scannerizzatore, con cui andare a scomporre, a sbocconcellare tutta la realtà circostante. Nespolo in particolare ha dimostrato una bramosia incontenibile, dando il via a un processo di traduzione universale. Non c’è oggetto, logo, immagine pubblicitaria del nostri giorni che si sia salvato da questa aggressione parcellizzante. Per realizzarla, Nespolo ha impiantato una “factory”, col che viene suggerito il rinvio a un altro campione della Pop statunitense, Warhol, nei cui confronti si è assai più indulgenti rispetto al suo emulo di casa nostra. Allo statunitense si perdonano le infinite riprese e varianti operate sulle foto di personaggi illustri, al Nostro, invece, si è implacabili nel declassarne le “ripetizioni differenti”, nel condannarle considerandole costituenti una merce fin troppo facile, buona per le aste, per i palati accomodanti. La critica che conta ama la sterilità, l’artista, poniamo un Castellani, uno Spalletti, che per tutta la vita non fa che ridarci una medesima soluzione, con rare e asfittiche variazioni. Mentre l’accanirsi a mutare, a ingurgitare sempre nuovo cibo, a trarre nuove battute di spettacolo, questo sembra filisteismo allo stato puro. Un simile atteggiamento sprezzante e liquidatorio ha colpito altri artisti venuti dopo Nespolo, penso ai casi di Marco Lodola e di Fabrizio Plessi, cui invece non è mai mancato il mio appoggio. Anche se, certo, una qualche moderazione nel fornire una profusione di copie è pur consigliabile, anche per le leggi del mercato, non è opportuno che questo sia invaso da un eccesso di prodotti simili. Ma sempre a stare al confronto con i grandi eventi della Pop statunitense, non si vede perché si debba celebrare la “factory” di Warhol, e invece ignorare l’altra di pari vastità realizzata dal nostro artista, che del resto anche in questo ambito si è affidato al suo sistema associativo, assemblagista. E’ partito da un solo appartamento, in uno stabile ben collocato, a lato di una delle entrate della Stazione di Porta Susa, poi, poco alla volta, ha acquistato gli appartamenti contigui, a fianco, di sopra, di sotto, e ora dispone di una suite di innumerevoli stanze, saggiamente ripartite tra l’atelier vero e proprio, il salone espositivo per i clienti, salette di proiezione, biblioteca, museo delle proprie glorie. Insomma, anche su questo versante ritroviamo l’idea del mosaico, del procedimento per felici giustapposizioni.
Ugo Nespolo, “That’s Life”, Catania, Fondazione Puglisi Casentino, fino al 15 gennaio.
giustapposizioni.
Ugo Nespolo, “That’s Life”, Catania, Fondazione Puglisi Casentino, fino al 15 gennaio.