Dicevo domenica scorsa, parlando di Salman Rushdie, che non si può esitare a vedere in lui un molto probabile candidato, prima o poi, al Nobel per la letteratura. Altrettanto vale per il giapponese Murakami Haruki, di cui quindi risulta opportuna la proposta delle opere in allegato al “Corriere della sera”, secondo quelle varie iniziative che ora i quotidiani sparano a raffiche nel tentativo di incrementare le vendite. Ma non ho avuto bisogno di acquistare “Kafka sulla spiaggia”, mia prima occasione di incontro con questo scrittore, e in un momento di forma piena, quando appare in possesso di tutte le sue armi migliori. Si vada a rintracciare in questo blog quanto gli ho dedicato in proposito. E sono in attesa della terza e ultima puntata dell’”Assassinio del commendatore”, di cui ho già commentato, sempre su questo blog, le prime due tappe, apprezzandone il modo di procedere per sequenze di bassa e crassa prosaicità, vivacizzate a un tratto dall’aprirsi di antri misteriosi, di influssi perversi da un passato o anche da un presente enigmatici e sfuggenti. Ho acquistato qualche giorno fa in edicola “Norwegian Wood”, che però mi è parsa opera decisamente più incerta, meno fascinosa, pur con la conferma di alcune doti, consistenti fra l’altro, come dicevo sopra, in brani di assoluta e dimessa prosaicità, come quando Murakami tiene conto scrupolosamente dei mille modi per saziare il suo appetito. Ho già detto in passato che egli fornisce addirittura una guida gastronomica a chi si voglia avventurare da turista nelle isole nipponiche. Del resto non è che egli si attenga soltanto ai canoni di quella cucina, ma anche sul piano dietetico è pronto a manifestare la sua capacità di cittadino del mondo, di consumato navigatore su tutte le rotte internazionali. E lo stesso si dica per il sesso, con puntuali documentazioni dei coiti a cui si dà il suo protagonista, Watanabe. Roba insomma quasi da assegnargli un titolo di rappresentante ad honorem di quello che da noi è stato detto New Realism, o neo-neorealismo, capace di tenere conto di tutte le suggestioni dell’attualità, appunto nel cibo, nel sesso, nella farmacologia, nella droga. Quando Watanabe fa vita di collegio universitario, la stanza che condivide con un coetaneo è perfettamente descritta nel disordine di mobili, stoviglie, indumenti affastellati, anche se proprio il collega, tale Kizuki, tenta di mettere un freno a tanta scapigliatura da boheme, o da cappelloni dei nostri tempi. Ma beninteso il nostro narratore e il suo protagonista non viaggiano solo su questa banda piatta e larga, conoscono pure i picchi, le elevazioni verticali, magari a cominciare dalla stessa pratica del sesso, che in certi incontri si innalza a un livello mistico, quasi che la fanciulla incontrata fosse una sacerdotessa, del resto reticente all’accoppiamento, differito, dandosi anche a una fuga, andando a internarsi in sacre stanze, in monasteri, che sono poi, come vuole la dimensione psichiatrica a cui Murakami non intende affatto rinunciare, dei luoghi di cura per le malattie mentali. Watanabe, pur sprizzando dai suoi pori una tranquilla sanità di appetiti, sia gastronomici che sessuali, si muove in un universo costellato da improvvisi affondamenti delle creature in cui si imbatte, sempre pronte a ritirarsi in luoghi nascosti e proibiti. Inoltre in questo romanzo l’autore ricorre a un vero e proprio abuso di una modalità alquanto semplice o addirittura semplicista di sbarazzarsi di chi ha esaurito un ruolo nella sua esistenza, il suicidio. Praticamente tutte le esistenze che per qualche tempo vengono a contatto con lui si tolgono di mezzo suicidandosi, e così lasciando il nostro anti-eroe libero di riprendere i suoi viaggi, sempre in bilico tra ordine calcolato e disordine di esperienze fortuite, non si sa bene fino a che punto volute o piuttosto subite.