Ho dedicato un altro decennio della mia vita, grosso modo dal 1993 al 2003, a un’altra causa, molto distante da quella di cui parlo qui accanto, intanto per una differenza di settore, che del resto risponde alla mia fatale bipartizione tra critica letteraria e d’arte. Ma non solo, vi si aggiunge pure una mutazione di segno, infatti quanto detto a proposito di Nuovi-nuovi e simili riguarda una fase di citazione, di neg-avanguardia, di retrospezione. Invece dal ’90 in poi era partita una fase di segno opposto, di violenta aggressione sugli aspetti del presente. Non per nulla il fenomeno di cui sto parlando era iniziato dal 1993, quando, con Nanni Balestrini e altri, avevamo deciso di riproporre, trent’anni dopo, le fortune del Gruppo 63, ma non in modo sterilmente laudatorio, bensì guadandoci attorno alla ricerca di validi eredi. Per condurre questa selezione avevamo istituito a Reggio Emilia un “laboratorio di nuove scritture” sotto l’acrostico di RicercaRE. E ci andò bene, sul piano della poesia perché si era già formata una squadra di eccellenti poeti raccolti da Alfredo Giuliani proprio sotto l’etichetta di Gruppo 93. Eravamo più timorosi per quanto poteva riguardare le sorti della narrativa, ma avemmo una fortuna sfacciata, perché proprio allora emerse un’ondata di giovani e freschi talenti destinati ad acquisire un sicuro successo. Basti dire che in seguito, in anni recenti, alcuni di loro sono andati a dama, cioè hanno riportato il Premio Strega: in ordine, Tiziano Scarpa, Niccolò Ammaniti, Francesco Piccolo, e ora faccio voti, come si è potuto leggere, per la vittoria di Covacich. Forse non è ancora il momento di Giulio Mozzi, cui voglio dedicare il presente pezzo per l’uscita delle “Favole del morire”, in quanto egli manifesta un rifiuto congenito a concludere, preferendo esprimersi in modi vari, talora a imitazione del parlato, talaltra con accenti lirici, comunque stendendo un diario di vita multiforme che sempre ci sorprende per le tante frecce del suo arco. Al di là delle varie vesti espressive, si delinea una tematica abbastanza costante, sempre attenta a soppesare, mischiare, ambiguare i termini estremi tra la vita e la morte, senza che quest’ultima debba di necessità dominare, ovvero, come epigrafe dell’intero mondo di Mozzi, riporterei alcuni versi famosi di Ungaretti: “La morte/ si sconta/ vivendo”. A caratterizzare ulteriormente questo suo sostare in un terreno di mezzo, di voluta ambiguità, diciamo che lo muove sempre una calda pietas, estesa a uomini ed animali, ad ogni vivente, accompagnati, assistiti, compatiti, nel senso etimologico della parola. Qui sono di scena in particolare gli animali, dato che il padre di colui che ci parla in prima persona era uno zoologo, e dunque li ha raccolti in recipienti di vetro, dove però queste presenze si stanno disfacendo, scomparendo allo sguardo, il che del resto è nostro destino comune, come a sua volta l’Autore dichiara con un versetto solenne: “c’era e non c’è ogni cosa”. Ricordiamo che, andando a pescare nel suo repertorio precedente, vi troviamo la dolente novella della madre cui muore il figlio ma lei non lo ammette e continua a fargli posto nel letto. Così è anche in questi nuovi appunti, dove il morire non è mai una soglia definitiva, galleggiamo anche dopo quel passo estremo proprio come gli animali conservati in qualche liquido indefinibile. Uno dei racconti più godibili in questo brogliaccio sperimentale è la “Novella con fantasma”, fondata sulla brillante invenzione per cui, se un morto resta insepolto, scende da qualche regno ultraterreste un ometto, con aria di modesto burocrate, incaricato di vigilare sulla spoglia, causando imbarazzo presso i parenti del caro estinto cui è fatto obbligo di mantenere con vitto e alloggio quella presenza inopportuna. Forse tale è proprio la missione che Mozzi si prefigge, accostare ad ogni essere vivente un angelo custode che lo assista anche oltre la soglia della morte, senza soluzione di continuità. Devo dire che, a riscontro di questa calda pietas erga omnes di cui il Nostro dà sempre splendida prova, sorprende il trattamento poco favorevole manifestato verso Salgari (“Emilio delle tigri se n’è andato”), come se il suo suicidio non avesse giustificazione, non meritasse che qualche anima buona gli fosse accanto nel trapasso.
Naturalmente continuerò a seguire le mosse di tutti coloro che sono balzati alla notorietà negli incontri di Reggio Emilia, prossimamente sarà di scena Isabella Santacroce col suo ultimo prodotto.
Giulio Mozzi, Favole del morire, Laurana Editore, pp. 155, euro 15.