Letteratura

Morante: brividi non immorali, ma esistenziali

Credo di essere stato uno dei primi a vedere Laura Morante in azione come attrice. La cosa avvenne abbastanza casualmente negli anni ’80, quando mi trovai inserito nel comitato tecnico della serie televisiva “La parola e l’immagine” diretta da Bruno Modugno, nipote, se ben ricordo, del grande Domenico. Per quella serie proposi, tra l’altro, un incontro dedicato al poeta Antonio Porta (Leo Paolazzi), quando era ancora in vita, e lui, abituato a scendere di frequente a Roma dalla Milano in cui viveva, scelse di essere intervistato in una villa di suoi conoscenti nei pressi dell’Urbe, chiedendo che a intervistarlo, o a recitare le sue poesie, su un canovaccio apprestato da me, fosse appunto Laura Morante, allora ai primi passi, accolta con viva curiosità da parte mia per la sua discendenza dalla ben nota Elsa, di cui ammiravo pienamente il capolavoro anteguerra “Menzogna e sortilegio”. Laura mi apparve già allora con un che di fragile, di quasi anoressico, timida e tenace nello stesso tempo. Le qualità che poi ha sviluppato fino al successo che ormai ha conseguito nel cinema e nella televisione, per cui certo non ha alcun ricordo di quel lontano precedente. Ora, come tanti che hanno conseguito una sicura fama in qualche campo, si vuole concedere pure un riconoscimento letterario. Un tempo per ottenerlo si puntava alla raccolta di poesie, oggi giornalisti, uomini politici e di spettacolo pretendono la consacrazione nel più prestigioso genere narrativo. Così ha fatto pure la Nostra con una serie di racconti all’insegna, a mio avviso non troppo pertinente, di “Brividi immorali”. Sono testi che almeno un pregio lo hanno, ai miei occhi, di rispondere da vicino all’identikit della persona, sia a livello personale, vorrei dire perfino biologico, fisiologico, sia a livello attoriale. Sono condotti cioè in modi leggeri, esili, “magri”, evitando i gonfiori eccessivi cui invece oggi si concedono molti narratori patentati, alla caccia di vittorie nei concorsi letterari. Tanta fragilità deriva senza dubbio da un tratto negativo, dalla varietà di queste novelle, che saggiano una vasta gamma di tematiche. Alcune, diciamolo pure, sono improntate a quel ritorno in scena di una “commedia all’italiana” in cui incorrono oggi tanti autori più patentati di Laura, per esempio Cristina Comencini. Sia il primo racconto, “La mia amica Giovanna”, sia una degli ultimi, “Colpo di coda”, mettono in scena i vari equivoci di cui ai nostri tempi sono dominati tanti ménages, coniugali e no, con gelosie, tradimenti, esiti impensati, anche di impatto comico, come succede proprio nel secondo di questi racconti in cui un protagonista, Fabio, stanco della partner, Elena, non ha il coraggio di dirglielo, rimanda di ora in ora lo show down, ma poi scopre che la compagna, più risoluta, lo ha preceduto abbandonando decisamente il loro nido d’amore. Forse in queste vicende sta il tocco di “immoralità” vantato nel titolo, ma è quella incostanza di affetti, quasi obbligatoria, a cui tutti al giorno d’oggi sacrifichiamo. Però, a rendere più vibrante un tale clima in sé alquanto prevedibile, ci sono interventi in cui per fortuna riemergono la magrezza psichica, e quasi l’infantilismo, della scrittrice. Lei in merito ci parla di “interludi”, e addirittura allega alle novelle degli spartiti musicali, su cui non sono in grado di esprimermi, in quanto non so leggere la musica. Ma certo la tela un po’ troppo sicura nei casi sopra indicati, a volte si interrompe, dà luogo a momenti di sospensione, vogliamo evocare in proposito il termine magico di epifanie? Vorrei riportare una frase colta a volo, a p. 228, dove si dice che “… le cose sono ovunque, come le farfalle”, e dunque, dobbiamo comportarci in modi perplessi, esitanti, insicuri. Come pare che faccia la scrittrice, se per la strada esita a superare una vecchietta, stanca nel suo incedere, vittima del male di vivere. Da cui è colpita anche la Susanna che abita “In famiglia”, ma, vittima di autismo, si barrica nella sua stanza, rende difficili i rapporti coi genitori. C’è poi la storia di tre adolescenti che, oltre ai guai comuni propri dell’”età ingrata”, devono pure tutelare la vita delle cucciolate di gattini che il custode di casa è solito annegare, invece loro si mobilitano per salvare quelle povere esistenze. E’ un tentativo di reagire contro le nequizie del mondo degli adulti che avanza implacabile. In definitiva, la nostra Morante si comporta come quel suo personaggio che dichiara di essere affetto da “Tristezza per una zucchina”, di cui insegue la sorte quanto mai precaria, di povero prodotto ortofrutticolo abbandonato in un bidone della spazzatura. Insomma, se la Nostra vorrà tornare all’attacco anche in veste di narratrice, cosa che senza dubbio farà, oltre a decidere tra le varie frecce al suo arco, dovrà rimanere fedele al suo identikit, di esistenza che resta adolescenziale, fragile e sospesa sia, credo, nella vita come nella professione.
Laura Morante, Brividi immorali, La nave di Teseo, pp. 232, euro 17.

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