Ho provato a leggere Mauro Corona, l’ultimo della serie, Quattro stagioni pervivere, pur condividendo la satira feroce che gli rivolge Crozza, e non invece il culto di Bianca Berlinguer, d’altra parte, se non sbaglio, ormai cessato anche da parte di lei. Corona è senza dubbio insopportabile quando affronta temi di carattere politico o ideologico, in cui mette a nudo la sua natura di autentico contadino o montanaro, ma quando si affida a una testimonianza semplice e diretta del suo stile di vita, risulta più sopportabile. O quanto meno, è in lui una vera esperienza della montagna, non certo nei modi manierati e di poco spessore che possiamo trovare in un Paolo Cognetti, benché con i suoi striminziti racconti abbia riportato addirittura un Premio Strega. Se si vuole, anche la trama di questo libro è ben poca cosa, appena la cronistoria di un odio implacabile provocato dal furto di un camoscio, ucciso da una coppia di gemelli, i violenti Gildo e Gianco Legnole, che da quel momento si danno a perseguitare in mille modi e con accanimento testardo, fino al delirio, colui che si confessa nell’opera come autore di quel modesto crimine, a nome Osvaldo. Cui del resto è stato condotto da un atto d’amore verso l’anziana madre, bisognosa di un brodo. Francamente, nella mia ignoranza in materia di selvaggina, non credevo che il camoscio fosse valido per ricavarne un brodo, ma almeno a stare a questa storia pare che sia così. Pe procurarsi un capo di selvaggina di quella specie Osvaldo era uscito a caccia, ma aveva trovato la preda già uccisa dalla coppia rivale, che l‘aveva lasciata nascosta inun anfratto per proseguire nella battuta. Il nostro cacciatore in seconda ne aveva approfittato per portarla via come facile bottino, ma procurandosi un odio mortale, implacabile, da parte dei due. Per evitare quella vendetta sempre in agguato Osvaldo era stato costretto a darsi alla macchia, a lasciare le pur modeste comodità del villaggio nativo, e soprattutto dell’osteria di cui era frequentatore abutuale Qui comincia l’aspetto valido della vicenda, perché in essa Corona riversa una effettiva conoscenza della montagna e dei suoi vari segreti, come attrezzare una caverna e renderla minimamente confortevole, come apprestarsi un giaciglio con frasche e mughi, come accendere un fuoco evitando di farne scorgere le fiamme e perfino il fumo, dato che i due nemici sono sempre in agguato. Le stagioni menzionate nel titolo non sono solo metaforiche, ma costituiscono dati reali in cui il protagonista si immerge fino in fondo, patendo i freddi invernali, la calura estiva, trasferendosi da un rifugio all’altro con difficili percorsi e camminate estenuanti, e soprattutto vivendo alla macchia, costretto a rinunciare al consorzio umano, dato che i due spietati vendicatori sono sempre in azione, cercando di sterminarlo con un incendio, se si sofferma in una pur miserabile capanna, o provocando una frana, se si avventura all’aperto. E’ un odio tenace pronto a comunicarsi anche se qualche altro personaggio ugualmente nomadico, come l’amico Guido, tenta di condividerne in parte il destino. Costretto a fuggire da ogni essere umano, Osvaldo cerca un po’ di affetto, di compagnia, di condivisione del suo duro destino in qualche presenza animale, soprattutto nel cane Papo, che non lo abbandona più, e c’è perfino un capriolo che, grato di essere stato salvato, lo segue fedele e tenace. Che dire? Abbiamo tutti apprezzato brani di vita di questa fatta, leggendo, poniamo, Jack London, o addirittura Hemingway. Ebbene, l’erranza di Osvaldo-Corona per selve, il suo vivere alla belle étoile, sottoposto a tutte le prove imposte dalle variazioni climatiche, ci ricorda qualcosa di queste avventure, seppure in tono minore, su scala ridotta, avendo come motivo ricorrente l’odio mortale nutrito dai due gemelli, finché questa minaccia esce di scena, con lo stesso carattere fortuito e banale con cui si è presentato. Infatti si mette in mezzo il sesso a separare la coppia, uno dei due si è fatto l’amante, ma l’altro lo sorprende mentre lo sta tradendo con la sua donna, da qui un colpo fatale di fucile, in definitiva potremmo dire che quello sparo si storna dall’obiettivo predestinato subendo una curiosa inversione di percorso. Si rinnova l’eterno dramma di Caino e Abele, uno dei due viene spento per mano del fratello, che a sua volta è rinchiuso in carcere dove porrà fine ai suoi giorni. Ma l’abbiamo detto, la trama è puerile, come ogni sovrastruttura di cui Corona si dimostra capace, resta un autentico andar per monti, un vivere di avventure proprio sul filo delle stagioni e dello svariare dei loro colori, odori e sapori.
Mauro Corona, Quattro stagioni per vivere, Mondadori, pp. 284, euro 19,50.