Arte

Mattioli: troppa pasta informe

Ricevo una lussuosa monografia dedicata a Carlo Mattioli dal prestigioso editore Franco Maria Ricci, il noto autore delle splendide riviste uscite per anni sotto la magica sigla FMR di cui ancora rimpiangiamo la cessazione. Nel testo ci sono pure firme di rilievo, come Vittorio Sgarbi, Marco Vallora, Marzio Dall’Acqua, invano però si cercherebbe nell’ampia bibliografia il mio nome, pure in genere diffuso in elenchi del genere quasi come il prezzemolo. Infatti non credo di aver mai dedicato a Mattioli una sola riga, pur nella mia accanita presenza di critico militante, il che non è un segno di indifferenza o di distrazione, bensì di implicito giudizio negativo, o quanto meno di non gradito coinvolgimento. La sua pittura non mi persuade, a mezza strada com’è tra un Informale, che ovviamente avrebbe il mio pieno gradimento, e un figurativismo tutto sommato abbastanza tradizionale. In merito mi viene fatto di ricorrere a due similitudini, una delle quali alquanto volgare. Questi dipinti mi fanno venire in mente una aberrazione culinaria, tipica delle nostre parti, quando la “bechamelle”, ovvero la famigerata “panna” inonda la pasta asciutta, portandola a una sorta di naufragio, da cui si salva solo qualche residuo di maccherone o spaghetto, capace di districarsi ed emergere da quella palude. Da lì arrivo a una similitudine magari un po’ più accettabile, e in linea col paesaggismo di cui Mattioli è stato indefesso cultore. Parliamo allora di uno strato di densa nebbia da cui, come già detto, fuopriescono alcuni picchi, alcune vette, che sono alberi, oggetti, o infine figure, mezzi busti, volti, ma trattati in modi fin troppo convenzionali e riconoscibili. Come dire che la materia informale è usata a piene mani, ma in modi indistinti, senza un qualche trattamento dall’interno. Ci potrebbe stare un paragone, finalmente di natura artistica, con Nicolas De Staël, dopotutto anche lui non certo tra i miei preferiti, ma almeno questo pittore sapeva introdurre delle distinzioni tra i vari strati di materia, articolandoli, scandendoli in appezzamenti, magri troppo rettilinei, da giardiniere con non molto estro, tuttavia lo strato materico veniva “agito”, lavorato al suo interno, mentre nel caso di Mattioli manca proprio questo “trattamento”. Il forte spessore della massa cromatica ottura, ricopre, in modo alquanto meccanico, non riuscendo a stabilire un corpo a corpo con i profili figurativi. Invano cercheremmo quella sottile dialettica di cui è stato campione Antoni Tàpies. Si aggiunga anche che questi strati di pasta stesi con troppa monotonia sono intonati a colori a loro volta troppo naturali, troppo vicini a tappeti di erbe verdeggiani, a aiuole e siepi stucchevolmente fiorite, mentre le piante da frutto, sbucando fuori dalle nebbie e ostentando pomi anch’essi marcati in eccesso, individuati uno a uno, fanno pensare a degli alberi della cuccagna, che si possono raggiungere solo che si abbia il coraggio di affrancarsi dalle leggi dell’Informale. Così come il cliente imbarazzato dall’eccesso di panna gravante sui suoi maccheroni la scrolla cercando di liberarne l’oggetto ambito e di ritrovarne l’esatto perimetro, invano “messo in maschera”.

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