Arte

MAMbo: questo è lo stato dell’arte

Finalmente il duo Roberto Grandi-Lorenzo Balbi, il primo come presidente della Fondazione musei di Bologna, l’altro come direttore di fatto del MAMbo, finalmente sono entrati in azione diretta, dopo aver smaltito una brutta mostra sulla Russia rivoluzionaria ereditata da una gestione precedente. Ora ci offrono questo “That’s it”, nell’inglese oggi di prammatica, che può corrispondere a un più volgare “Così stanno le cose”, nell’ambito dell’arte, con attenzione a quanto fanno presso di noi i “millennials”, entrati in azione col nuovo secolo. E’ un onesto ed efficace spaccato, che potrebbe figurare in una qualsiasi delle Biennali che si fanno in ogni parte del mondo, ma che per lo più risultano molto avare di artisti nostrani. Invece questa selezione di 56 presenze attesta positivamente di come i nostri siano in linea col quadro internazionale. Anzi, ne prenderei lo spunto per suggerire al duo al comando, che mi sembra ben affiatato e autorevole, di riprendere una vecchia iniziativa anni ’80, quando il famigerato consiglio direttivo della GAM, allora in area Fiera, riuscì a portare in prestigiose città straniere, Francoforte in Germania, Vienna in Austria, Lucerna in Svizzera, e in altri centri ancora, una selezione dei nostri migliori artisti di allora. Anche questa scelta, magari ristretta nei numeri, potrebbe funzionare in giusta misura, a conferma di come stanno ora le cose, del fatto cioè che siamo di fronte a una situazione ibrida, multiforme, senza tendenze dominanti, varia per tecniche, modalità, proposte. Tanto è vero che mi riuscirebbe difficile condurre una rassegna ordinata e completa delle tante personalità qui in mostra. Inevitabile che io mi attacchi a quelle di cui mi è già accaduto di avvalermi in selezioni precedenti condotte da me stesso e colleghi. Partirei da Margherita Moscardini, anche se a suo tempo, quando l’avevo invitata a una Officina Italia 2, itinerante tra varie sedi, mi aveva suscitato molte difficoltà, apparendo ogni volta con volti diversi. Qui essa illustra nel modo migliore le possibilità della videoarte, evitando modi conformi e banali di presentazione. I suoi nove video sono come delle cartoline illustrate gettate a terra, a fior di pavimento, con inclinazioni varie. a conferma di una disposizione casuale. Sorprendente ne è il tema, trovato in una linea di fortificazioni difensive erette dalle forze tedesche a difesa delle coste atlantiche. Dal mare emergono dei colossi, come fossero astronavi discese dal cielo e interrate secoli fa, Qualche volta ci sono, su questi pachidermi, le esili figurine di essere umani, ma al modo di insetti fastidiosi che un’ondata potrebbe spazzare via. Un altro ospite a me caro, tanto è vero che non ho mancato di richiamarlo anche a una mia rassegna di prossima apertura, il Premio Michetti a Francavilla, è Alberto Tadiello, coi suoi grovigli di segni da cui pare levarsi un rumore assordante, un acuto stridio quasi al limite con gli ultrasuoni: Infine ritrovo con piacere anche Riccardo Benassi, già assiduo frequentatore dei miei vdeoart yearbooks, dove però ci aggrediva con rumori e invasioni di oggetti domestici, qui invece ha rarefatto la sua presenza in una serie di scritte sentenziose, alla maniera di Jenny Holzer, concedendo troppo ai riti del concettuale. Che a dire il vero nella presente rassegna sembrano decisamente in calo, mentre permangono quelli dell’ostentazione di fotografie, che si fanno perdonare nel caso di Emilio Vivarella, col dispiegamento di un centinaio di immagini, come carte da gioco di un solitario condotto con tenacia. Interessanti anche gli autoritratti di Irene Fenara, che si fa riprendere da telecamere come fosse una persona sospetta di cui diffidare. Ma foto e video hanno già raggiunto un grado di saturazione, per cui esiti più allettanti vengono da soluzioni di diversa natura: da Riccardo Giacconi, che ricava una tenda incastrando come in un puzzle delle policrome piastrelle di plastica; o da Roberto Fassone, che cuce tra loro dei frammenti di lenzuola, come fanno i detenuti per evadere, e in questo caso si potrebbe parlare di una evasione da un certo conformismo insito nel binomio, appunto, di foto-video, cui molti si affidano in modi alquanto conformi. Non è certo il caso di Petrit Halilaj, che visita l’area oggi molto fertile del ricorso a vecchi mezzi artigianali, come sarebbe la confezione di cornici, con dentro tracce di ricamo o di altri reperti della memoria. Caterina Morigi ci invita a contemplare una parata di lastre di finto marmo, dove oltre all’incanto delle venature si può anche andare alla scoperta di piccoli inserti, forse affioranti da remote epoche primitive. La frusta scena quotidiana, magari dominata da giocatori di calcio, viene esaltata dal duo Licciarello e Tagliavia nella forma solenne di un arazzo, con un voluto e ben calcolato testa-coda tra volgarità di immagine e nobiltà di mezzi. Interessante il ricorso al linguaggio degli alienati, alle loro sagome sgrammaticate e brutali, che ci propone Giulio Squillacciotti, andando a pescare in qualche ospizio di “malati mentali”. Come si vede, oggi le vie dell’arte sono infinite, ed è giusto che per dare ricetto alla loro invasione l’ex-Forno del pane abbatta le varie paratie divisorie e vada a un’occupazione sistematica di tutti gli spazi, constatando pure la loro insufficienza e quindi sciamando anche all’esterno. Ma si sa bene che oggi la ricerca artistica è una bomba esplosiva che non conosce limiti.
That’s it, a cura di Lorenzo Balbi. Bologna, MAMbo, fino all’11 novembre. Cat. autoedito con 17 testi di accompagnamento.

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