Ricevo da Valerio Magrelli un suo recente prodotto, una esile raccolta di versi, “Guida allo smarrimento dei perplessi”, e mi sembra giusto gratificarlo dedicandogli qualche parola, anche se questo mi porta ad affrontare il territorio a me non particolarmente familiare della poesia. Ma credo di avere le idee abbastanza chiare per quanto concerne tutto questo settore di lavori, anche se forse improntate a un certo dogmatismo. Per un coerente membro della neoavanguardia come il sottoscritto, prima di tutto, nel secondo dopoguerra, vengono i Novissimi, che hanno dominato la scena fino al ’68, quando c’è stato il disperdersi del Gruppo 63, ma beninteso ciascuno degli autori che vi si erano riconosciuti ha continuato nel proprio cammino. Fino agli anni ’90, quando sulla scena è ricomparso un successivo orizzonte di ricerca, tanto che per la poesia Alfredo Giuliani, già teorico e introduttore dei Novissimi, ha potuto scorgere la nascita di eredi, di un Gruppo 93, dando modo, a me e a Balestrini, di lanciare la serie degli incontri di RicercaRE, a Reggio Emilia. In mezzo c’è stata un’onda depressiva, al rientro, come del resto è nella fisiologia di tutti i fenomeni, organici e inanimati. Questo avallamento è stato contrassegnato dall’uscita dell’antologia “La parola innamorata”, 1978, a cura di Giancarlo Pontiggia e Enzo Di Mauro, volta a raccogliere per strada quanti avevano combattuto proprio l’estremismo dei Novissimi, o che per anno di nascita, come Magrelli (1957), non avevano fatto a tempo a sintonizzarsi su quel passo. Era una situazione di “entre les deux”, per un verso occhieggiante verso la tradizione, magari non proprio dell’ermetismo prebellico, ormai defunto, ma almeno verso soluzioni di recupero di un certo crepuscolarismo, di una elegia sospesa tra buoni sentimenti “d’antan” e cauti inserimenti di una prosaicità aggiornata sui nuvi dti ambientali. Questa scialuppadi salvataggio aveva preso a bordo anche un protagonista come Cesare Viviani, che invece, circa nei medesimi anni, aveva intrapreso una via nuova, andando oltre lo spirito collagista tipico dei Novissimi, forte soprattutto nell’aggregare un materiale semantico, mentre l’audacia di Viviani stava nel praticare una scissione della parola, frammentandola e ricomponendone gli spezzoni fino a ricavare altrettanti neologismi. Ma in seguito anche lui è rientrato nel gruppo. Che però, almeno nei membri più interessanti, continua a chiaroscurare certi toni fin troppo affabili con improvvisi inserimenti di volute banalità e citazioni dal quotidiano. Tra i più fini cultori di questo “entre les deux” c’è proprio il nostro Magrelli. Notiamo “en passant” che già il titolo della raccolta tematizza una simile situazione di sospensione, insistendo sui concetti di “smarrimento” e di “perplessità”. Se affrontiamo la prima lirica della raccolta, la troviamo aprirsi con “Questa è la mia preghiera del mattino”, un verso che non potrebbe aver scritto né un membro dei Novissimi né dei successivi e ancor più arrembanti membri del Gruppo 93, dato che esso sfuma nel passato, lo potremmo trovare in Saba, in Montale. Ma poi, a contrasto con questo tono tranquillo, che sarebbe condannabile, troviamo nel verso successivo una più vivace dichiarazione del poeta a voler controllare il suo “cc”, cruda inserzione di un elemento ripreso “tale e quale”, completato da un accenno successivo a una “password”. Dunque, c’è un aggiornamento da dirsi genericamente futurista. Poi, di nuovo il rientro in una tonalità più sentimentalmente tranquilla, “ogni volta ritrovo la tua data / di nascita”. Pensosa bonarietà pure in un seguente “Penso l’intero giorno senza pensarti mai, / eppure non c’è alba in cui dolente / tu non mi vieni incontro”, ma poi ecco l’opportuna nota stridente, ovvero l’aggressione di una attualità incalzante: “mentre effettuo un bonifico”. E molto buono mi sembra anche un riferimento mitico, “come un Lazzaro uscito dalla tomba”, la pratica dei novissimi, detto in accezione liturgica e non come riferimento ai cinque della neoavanguardia, è sempre una valida mossa. E felice, per accoppiamento tra un concetto secolare e una improvvisa attualizzazione risulta un ancora successivo “Ti levi dal sepolcro del computer”. Una opportuna aggressione semantica è anche in chiusura della lirica “Dopo una visita in clinica a Zeichen”, dove il ricordo di un autore spregiudicato e sperimentale trascina anche Magrelli a porsi sul medesimo livello, attribuendo al poeta una funzione definita in termini di arido specialismo medico, secondo cui il poeta sarebbe un “logopedista”, e dunque il trattamento del materiale verbale a lui adatto non seguirebbe le armonie, le malinconie di un vecchio repertorio, ma farebbe di lui, su questa strada finalmente avventurosa, “il profeta, l’esteta, l’atleta”. E mi piace molto che nella decima, e ultima, di queste liriche entrino in scena “I brutti gabinetti / di certi ristoranti di paese”. Insomma, è bene che la tentazione a retrocedere verso un empireo altrimenti abbastanza convenzionale, sia interrotta da sussulti, da brutture, da improvvise concessioni verso “il male di vivere”, senza piangerci sopra.
Valerio Magrelli, Guida allo smarrimento dei perplessi. Carteggi letterari, pp. 37, senza prezzo.