L’uscita in questi giorni del “Romanzo della nazione” di Maurizio Maggiani mi consente di riprendere quasi subito il discorso già avviato a proposito del “Tempo migliore della nostra vita” di Scurati. Le due opere hanno molti punti in comune, forse con un vantaggio finale del più anziano tra loro, Maggiani, che evita di ricorrere al curioso stratagemma, adottato dall’altro, di scindere la sua opera in un doppio binario, affidandone una metà alla ricostruzione documentaria della biografia di Leone Ginzburg, e in tal modo sottraendola a una valutazione come testo di portata creativa. Quando invece, sempre nell’opera di Scurati, le vengono affiancate le vicende di tante esistenze simili a noi, rimaste nel più completo anonimato, è come se l’autore si affidasse alla più bella invenzione romanzesca, avendo il solo scrupolo di garantire la verosimiglianza di quanto viene narrando. Maggiani non gioca su questa doppia valenza, il suo racconto è gremito di esistenze ritrovate risalendo indietro di due generazioni, che non hanno avuto proprio nulla di straordinario, e dunque ci giungono come fossero personaggi di fantasia. O magari lo sono davvero, vale a dire che siamo del tutto esentati dallo scrupolo di controllare la veridicità di fatti e situazioni. Caso mai, nell’opera di Maggiani, un qualche aspetto antinomico sta nel titolo stesso assunto. Infatti già in un prologo Maggiani respinge da sé il compito pur solennemente dichiarato: “Questa è una storia di gente viva, viva davvero intendo. E è la storia di una Nazione che è morta, morta sul serio, voglio dire”. Se dovessimo prendere sul serio una affermazione del genere, dovremmo affrettarci a dare a chi osa proferirla la qualifica di “gufo”, di chi vede nero, dandosi a un pessimismo di maniera. Ma per fortuna, gioca a favore del risultato finale il fatto di liberarsi del tutto dall’ impasse della storia, con relativi giudizi di valore. Questo è piuttosto il romanzo di “povera gente”, di manifesta e ostentata estrazione proletaria, che dunque nutrono tutti i possibili sospetti verso l’ideale di una nazione, come la potrebbero concepire i bravi borghese, o come hanno tentato di farla i notabili dell’Ottocento, pronti a riconoscersi in Cavour, a nutrite timori e sospetti per Garibaldi, e a considerare in modo del tutto negativo la possibile influenza di Mazzini. Se nel romanzo è reperibile una storia della nazione, questa è recitata alla rovescio. Di Cavour, attraverso le testimonianze degli avi di colui che parla in prima persona, viene tracciato un ritratto quasi caricaturale, di persona comunque cinica, abile negli affari, con tratti fisionomici addirittura scostanti. Mentre l’eroe cui va il pieno consenso è quello dei Due mondi, non per nulla il nonno del protagonista si chiama Garibaldo. Un punto di contatto con Scurati è la parte giusta assunta dall’autore, che ci parla in prima persona, anche se è sempre opportuno non confondere, appunto, il vero col verosimile, sarebbe inutile andare a verificare all’anagrafe l’esattezza dell’infinità di dati che questa cronaca ci fornisce. Quello che conta, è che questo Maggiani dichiarato, nome e cognome, non ci nasconda per nulla il suo livello culturale, si tratta di uno scrittore, che dunque sa fare la differenza, rispetto a nonni e genitori che erano invece di poca cultura, spesso immersi in modalità espressive dialettali. Ovvero Maggiani, come già Scurati, evita brillantemente l’errore infausto che aduggia al contrario le saghe familiari, da me bocciate, dei Fois e Murgia e Niffoi, che si nascondono, che si calano nei panni di vicende rubate al folclore della grande tradizione verista. Come dire che Maggiani illustra con potenza ed efficacia quella che oggi si dice autonarrazione, con fluidi passaggi dalla prima persona all’abbozzo dei vari personaggi, riportati con tutti i dati ambientali, ricondotti ai mestieri, alle vicende, anche di penuria, di malattia, di stenti da cui sono stati affitti in vita. C’è il pauperismo, inevitabile, ma l’autore è come dotato di una tuta isolante, può immergersi, può dare testimonianza dei fatti del passato, ma rimanendo se stesso, senza rifugiarsi in una falsa oggettività, dimostrandosi capace di stabilire un’abile dialettica tra presente e passato, andata e ritorno.
Maurizio Maggiani, “Il romanzo della Nazione”, Feltrinelli, pp. 297, euro 17.