Il 25 aprile scorso ho onorato convenientemente l’anniversario della Liberazione rivedendo il capolavoro di Carlo Lizzani, “Mussolini ultimo atto”, ritrasmesso nella rubrica “Atlantide” da un ieratico e apocalittico Andrea Purgatori che in realtà se la cava a buon mercato andando a ripescare vecchie e gloriose pellicole. Ho l’onore di aver ospitato Lizzani a casa mia quando gli fu commissionato un documentario su Cesare Zavattini, di cui sono stato buon amico ed estimatore su entrambi i fronti della sua attività, pittura e letteratura. Quel film ci pone di fronte al solito dilemma. A interpretare il Duce, ci voleva un attore di spessore, e Lizzani l’ha trovato come meglio non si poteva in Rod Steiger, immedesimazione perfetta, stupefacente, fin troppo, con l’inevitabile conseguenza che il personaggio in sé negativo ha assunto un’aura magica, involontariamente positiva. E’ il fenomeno contradditorio verificatosi già in tanti altri casi, quando taluni campioni del male sono stati affidati appunto a grandi attori, come Marlon Brando e De Niro nei due volti del “Padrino”, e più di recente Favino nel “Traditore” a impersonare Buscetta, quando invece il personaggio in carne ed ossa, in un documentario trasmesso dalla Rete Sette, è apparso ben più vile e rozzo, da non meritare alcun ossequio. Devo dire che lo stesso Favino, pur bravissimo anche quando ancor più di recente ha indossato i panni di Bettino Craxi, è apparso meno convincente, ma proprio nella misura che il leader del Psi non è stato certo un genio del male tutto d’un pezzo. Ma tornando al Mussolini di Lizzani, è perfetto nei suoi conati residui di grandezza misti a segni di pusillanimità italica, gli stessi che lo hanno indotto a cercare rifugio in Svizzera, abbandonando tutti. A cominciare dalla moglie e figli, di cui si libera con una telefonata lasciandoli al loro destino. Unico residuo di umanità. l’attaccamento viscerale con l’ultima amante, Claretta Petacci (interpretata da un’ottima, anch’essa, Lisa Gastoni). Il tradimento, la vergogna estrema del nostro leader inutilmente maximo, come qui viene impietosamente dimostrato, fu di indossare una divisa tedesca per tentare di passare inosservato, fra l’altro in modo maldestro, lasciando scoperti dei calzoni con ancora ben visibile la divisa del potere. Da qui una fase accuratamente ricostruita di rimbalzi da un commando all’altro, con meraviglia, attonimento, imbarazzo dei partigiani che quasi per caso se lo erano visti cadere addosso, e paura che altri gli strappasse di bocca l’ambito trofeo. Il tutto ricostruito minuziosamente, con piena aderenza, dal film di Lizzani. Che adotta anche la versione circa la morte del dittatore, che mi sembra tuttora la più valida e corretta, nonostante che, come sempre per le morti celebri, le si sia creato attorno un balletto di versioni alternative. Credo che sia stata giusta la decisione del CLN di procedere all’esecuzione del tiranno, per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati, che forse se ne sarebbero fatto di nuovo un fantoccio da erigere contro un cedimento dell’Italia allo stalinismo. In merito ho lodato senza riserve l’idea di un narratore delle ultime leve come Enrico Brizzi di immaginare un Mussolini tanto abile da compiere una giravolta fino ad allearsi con le forze angloamericane, così salvando la pelle, il ruolo, perfino le nostre colonie d’Africa. Forse qualcosa del genere sarebbe successo, se Mussolini non avesse compiuto l’errore di schierarsi con la Germania, credendo che questa avesse ormai riportato appieno la vittoria. Un Mussolini prudente, così da non entrare in guerra, comportandosi come Franco, probabilmente sarebbe morto davvero nel suo letto, in barba a tutti i fermenti resistenziali dei nostri partigiani, che nulla avrebbero fatto, se non supportati dall’inesorabile, benché troppo cauta, macchina militare degli Alleati. Ma tornando alla realtà storica, e al film che ne è stato uno specchio perfetto, fu giusto allora dare ordine a Walter Audisio di intervenire senza indugio per eseguire la sentenza di morte. Io sono un uomo del tutto pacifico, contrario alla pena di morte, ma non nel caso di dittatori, suscettibili, se lasciati in vita, di apportare di nuovo un numero incalcolabile di vittime, e dunque confesso che se allora, invece di essere un decenne implume, fossi stato un adolescente in armi e avessi ricevuto quell’ordine, mi ci sarei attenuto tentando di compierlo. Qui di nuovo il film di Lizzani è perfetto nel documentare le difficoltà, le resistenze, gli ostacoli che Audisio (interpretato anche lui da un eccellente Franco Nero) dovette superare per compiere la sua difficile missione. Il cui unico atto d’umanità, anche questo credibile, fu di cercare di sottrarre la Petacci all’esecuzione, con quel suo ultimo gesto d’amore verso chi forse non lo meritava. Poi, se ritengo giustificata l’uccisione del tiranno, ritengo invece che lo scempio dei cadaveri a Piazzale Loreto sia stato qualcosa di inutile che si poteva evitare.