Letteratura

Livio Romano, un romanzo che sta proprio “A pelo d’acqua”

Ricevo l’ultimo romanzo di Livio Romano, A pelo d’acqua, e non manco certo di fargli avere la mia adesione, come faccio normalmente per ogni esponente della gloriosa pattuglia dei partecipanti a RicercaRE, e immortalati, oserei dire, nell’antologia Narrative invaders. Anche se Romano rischia una  certa ripetitività  da cui è afflitta propria questa sua ultima creatura. Comunque, c’è sempre in ogni sua comparsa abbastanza energia da permettergli di risultare superiore ai romanzetti del main streamche escono attualmente a ripetizione, di cui un perfetto esempio, senza gloria, è proprio il vincitore del Premio Strega di quest’anno, Mario Desiati. Messo a confronto, il “vecchio” Romano vincerebbe a mani alzate, per densità di personaggi e consistenza di vicende, Ancora una volta il narratore pugliese mostra la sua preferenza per un asse geografico che va dal Salento a incursioni nordiche, fino a Bolzano, naturalmente con sapiente conoscenza dei rispettivi gerghi, e perfino cibi e abitudini. Qui il narratore si chiama Vasilio Navarra, e certo non è uno stinco di santo, si lascia volentieri corrompere da varie attrattive, avendo forse solo un punto fermo, l’attaccamento ai due figli Cristiano e Francesco, che pure fanno di tutto per rendergli la vita una specie di corsa a ostacoli, alzando sempre la posta delle loro richieste e tramutando l’ esistenza del genitore in una partita sempre incerta. Naturalmente c’è la madre dei due, Elisa, che se ne sta a Nord, e fa di tutto per tirarsi fuori, per lasciare che il marito si inoltri in una vita di sprechi e di follie, anche dal punto di vista sessuale, con la comparsa di vari amori. Ma soprattutto quello che esce ingigantito nella vicenda è un vicino di casa, tale Thom Karremans, che non si sa bene se definire genio del bene o del male. Del male, in quanto è tormentato dal rimorso di non aver fatto tutto il possibile a favore delle povere popolazioni oppresse dai serbi, quando si era trovato da quelle parti con un ruolo di comando. Ma oggi è solo un amicone che trascina Vasilio in partite di pesca sulla sua barca, e lo tenta in tutti i modi e le misure. Quanto lui compare in scena, il lettore si rallegra, si prepara a gustare avventure amene, anche se in genere pescanti nel torbido. Tanto che a un certo punto ci scappa pure il morto, compare nella vicenda, altrimenti amena e scapricciata, un corpo massacrato e insanguinato. Si sfiora così il giallo, con tanto di commissario che come vuole la tradizione appare impacciato e burocratico, Ma per sua fortuna Romano non vuole fare concorrenza alla schiera vorace dei giallisti dei nostri giorni, e dunque questo delitto viene lasciato quasi in disparte, come una pietruzza di complemento di una vicenda che bastano, a intrigarla, i quotidiani dissapori della vita. Sempre nuotando “a pelo d’acqua”, vittima delle occasioni e circostanze, il nostro Vasilio alla fine ripiega sul porto sicuro apprestato dalla moglie, pronta malgrado tutto a riaccoglierlo in quel nido lontano di un Nord abbastanza immune dalle mille peripezie del Meridione, che però diffondono a piene mani, in tutte queste pagine, il loro aroma linguistico, acre e nello stesso tempo rotondo, posto proprio come vuole la metafora del titolo, tale cioè da consentire sia un nuotare in superficie, sia un affondare, ma pur sempre con qualche rete di scorta.

Livio Romano, A pelo d’acqua, Les flaneurs, pp. 293, euro 18.

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